Leggendo “Rapsodia Mediterranea” di Simone Perotti pare sentire il vento fresco del mare sulla pelle, respirare la brezza e il sale delle baie più remote e incontaminate per immergersi totalmente in un mondo unico e allo stesso tempo composto da mille tessere delle stesso mosaico: il grande Mar Mediterraneo.
La spedizione durata circa 6 anni, si è posta l’obiettivo della scoperta culturale e scientifica, da perseguirsi sia attraverso il contatto diretto con intellettuali e personaggi locali, che con un’attenta analisi delle dinamiche sociali e storiche che hanno determinato lo situazione attuale.
Una vena di malinconia ci viene ispirata dalla visione come di un mondo perduto, cioè quella di un popolo mediterraneo, se non completamente unito, ma in continua comunicazione, resa possibile dai commerci e dalle relazioni marinaresche che hanno una tradizione millenaria. La causa di questa perdita? E’ un po’ la stessa di quel senso di disorientamento e di perdita delle origini che si evidenzia maggiormente nelle popolazioni dell’Europa del Sud e di tutto il bacino mediterraneo.
Quei valori che l’autore chiama Nord-occidentali e che negli ultimi decenni, grazie alla dominanza della cultura popolare (chiamala consumismo, turbocapitalismo, o società postmoderna), hanno sradicato dalla loro appartenenza territoriale e tradizionale quelle fasce di popolazione che non hanno saputo porre uno scudo necessario, uno spirito critico salvifico, al nuovo pensiero unico dominante in questo XXI sec (e XX).
E’ questa per l’autore la vera causa del motivo per cui oggi, spesso, letteralmente ci chiediamo << ma in che mondo viviamo?? >> come se ci stesse sfuggendo di mano una realtà per non si sa quale motivo. L’Uomo Mediterraneo risulta immerso in una crisi che prima che economica, è di punti di riferimento culturali.
Le idee, le emozioni, la cultura, e l’arte sono la giusta rotta: progetti come quelli di cui si parla con lo l’intellettuale greco Teodossidios Tassios per risollevare un nuovo spirito comune mediterraneo. Idee come la creazione di un nuovo Erasmus per i giovani mediterranei che riporti al centro i valori comuni e che possa ridare ossigeno alle nostre menti e nuova linfa ai nostri cuori, spesso in affanno di fronte alle nuove evoluzioni della società dei consumi.
Ma esiste un porto dove far approdare quelle anime che sognano un mondo diverso: viene paragonato alla Ultima Thule, un luogo lontanissimo che prima di tutto è dentro di noi, e che possiamo scoprire iniziando a coltivare i valori opposti a quelli che oggi ci stanno appiattendo verso una massificazione e standardizzazione dei costumi preoccupante e svilente.
Pare che il nostro Simone Perotti lo abbia finalmente trovato un posto nel mondo reale dove poter sviluppare le proprie idee e “fondare” un nuovo modo di vivere associato, e… per citare le sue parole nei confronti del mare: “sempre un po’ di meno, sempre con umiltà, sempre con reverenza”.
Intervista a Simone Perotti sul suo “Rapsodia Mediterranea”
Ciao Simone e bentrovato! Partiamo dall’attualità geopolitica quantomai incombente. Trump e la guerra: cosa hai pensato e come hai reagito alla notizia dell’omicidio di Soleimani e la conseguente reazione dell’Iran?
Che è la solita vecchia storia. Il mondo si regge su questi episodi. Dallo scandalo Iran-Contra (o Iran-gate) degli anni ’80 a d oggi, come si vede, non è cambiato poi molto. Allora, nonostante l’embargo, gli USA vendevano armi all’Iran per finanziare la sporca guerra contro i Sandinisti in Nicaragua. Oggi, nonostante gli accordi di pace e il blocco al nucleare, si riapre un fronte iraniano che pare fatto a posta per costruire nuovi negoziati. Non c’è molto da stupirsi: l’Iran è un Paese governato da preti, gli USA sono un Paese governato da monaci del capitalismo. Non mi pare che possa andare diversamente. Siamo purtroppo lontani da qualunque forma di libertà, di autogoverno, di responsabilità. Io ai governi credo poco o niente, anche quando sembrano buoni, figuriamoci qui.
Erdogan: l’impegno militare dei turchi in Libia condiziona lo scenario geopolitico del Mediterraneo. Come vedi lo scenario del Nord Africa nel 2020 e secondo te cosa dovrebbe fare l’Europa ( e perché non lo fa ).
Dato che la politica estera si fa coi deterrenti, militari ed economici, l’Europa non conta molto sullo scacchiere. L’unica cosa che potrebbe tentare di superare questo schema sono le grandi idee, le visioni di un futuro possibile organizzato secondo senso e giustizia, e masse pronte a coglierne il valore. Purtroppo non abbiamo la gran parte di tutto ciò, e per di più la frenesia per i gasdotti, per gli oleodotti, greco e turco, ad esempio, e per l’intera questione energetica, non consentono deroghe a questi equilibri. Erdogan è un presidente dittatore, ma non è che gli altri siano molto diversi. Lui è solo arrogante quanto basta per dirlo e farlo apertamente, ma non vedo santi dalle altre parti del confine. Io continuo ad usare il minor numero di fonti fossili possibile per mettere tutti costoro sotto embargo. E se qualcuno pensa che questa sia una boutade, si vede che non ha capito qual è l’unica direzione possibile per tutti noi.
Erdogan – Putin – Trump: il fatto che i cosiddetti “uomini forti” che si affermano nel sistema contemporaneo cosa significa per te?
Che siamo ancora mal messi dal punto di vista psicologico di massa. Siamo ancora bambini, dal punto di vista evolutivo. Il bambino ha bisogno del genitore forte. Un uomo adulto no. E la massa, il cosiddetto “popolo”, è bambino di natura, rifiuta la responsabilità diretta delle proprie azioni, adora affidarsi in blocco a qualcosa o a qualcuno. Anche per questo io sono un anarchico individualista ed esistenzialista che proprio per questo non rinuncia ad operare per acquisire coscienza e far riflettere tutti il più possibile sulla necessità di evoluzione individuale.
Come conciliare il senso di libertà del viaggio e del mare con l’impegno civile e l’attualità politica?
Bisogna vivere il più fuori possibile dalle grandi città, fuori dal caos della vita omologata e standardizzata, e da fuori, però, essere profondamente “dentro” i processi e agire localmente, dando testimonianza della differenza. Insomma: giù dal divano delle grandi città, producendo idee e soluzioni per la propria vita singolare, che consentano di realizzare nuovi modelli, da testimoniare prima e comunicare poi. L’impatto di un singolo uomo diverso dalla massa può essere enorme. Io provo a fare questo. Con l’umiltà del caso, sia chiaro, ma anche con la determinazione e l’orgoglio del caso. Il che credo non si percepisca adeguatamente che peso può avere. Un uomo che cambia consapevolmente rischia di cambiare il mondo ogni giorno.
L’uomo come “animale sociale” o come lupo solitario. Dal quadro che delinei fuoriesce una realtà abbastanza complessa. Forse l’uomo tende ad essere inserito in gruppi per la sua formazione, e poi a selezionare sempre di più nella maturità?
Un uomo, una donna, possono vivere come credono. Ciò che cambia la natura della loro azione sta tutto nella consapevolezza. Se io semino una piantina in un orto, posso avere la sensazione che sia solo una piantina nel mio orto, cioè ben poco, oppure un gesto rivoluzionario che aggrega dei significati. La differenza non la fa il gesto in sé ma la consapevolezza e l’engagément che si prova piantandola.
Per i numerosi richiami storici e mitologici in questo volume: da dove viene questa passione nella ricerca storica? Sono fonti di cui eri già in possesso o del materiale per te inedito sei riuscito a reperirlo durante il viaggio?
Sai, “Rapsodia mediterranea” è il risultato di decenni di viaggi per mare, di migliaia di sbarchi sulle coste di casa mia, il Mediterraneo, casa nostra, e di migliaia di parole scambiate, di pagine lette. Poi, naturalmente, quando scrivi un libro devi riprenderti tonnellate di appunti scritti anni prima, rileggere, ritrovare le fonti, ristudiare tutto. Scrivere è una fatica immensa, bellissima ma durissima.
E’ vero che viaggiare è sinonimo di fuga anche da noi stessi per un continuo perdersi e ritrovarsi. C’è dentro a questa dinamica anche il senso di eterna insoddisfazione dell’animo umano?
Io credo che viaggiare sia partire da lontano per avvicinarsi a sé. Ogni viaggio che sia per fuggire è una forma di droga. Mentre viaggiare, solo quando serve, quando si ha davvero desiderio, andando non dovunque, ma solo dove ha profondamente senso andare, è sempre una forma di avvicinamento, di ricongiungimento con qualcosa che siamo già ma che non sappiamo ancora di essere. Ecco perché sono salpato per tutto il giro del Mediterraneo, del Mar Nero, dell’Atlantico, in anni di viaggio: per ricongiungermi ai tanti pezzi di me sparsi per la mia casa. È la ricerca dell’identità il motore del viaggiatore, che lo voglia o no, che lo sappia o no. È così da Giasone e Ulisse in avanti.
Quelli che criticano la filosofia dello “scollocamento” e del “downshifting” affermano che è facile parlare quando si è da soli/senza figli da accudire, ma che quando si ha il peso della responsabilità genitoriale, può essere tutta un’altra storia, nel senso che prevale la paura di non riuscire a garantire i bisogni primari della famiglia. Cosa rispondi?
Che i bisogni primari sono coperti con molto poco, dunque sono un alibi. E i figli pure, anzi, semmai invocano modelli che nell’omologazione i genitori non danno. E infatti i risultati si vedono. Io non sono solo, ho una moglie, e tanti amici che percepisco come figli, fratelli, parenti, a cui sono legato e dei quali sento la responsabilità. Non è mai facile parlare di grandi temi come la libertà e l’identità, ed è ancora meno facile agire in linea con questi argomenti. Chi dice “è facile parlare di…” mente a se stesso, si sta difendendo, si sente minacciato da cose vere, che sa benissimo che sono vere, ma che teme come la peste perché lo coinvolgono, lo mettono in crisi. Io li capisco, provo comprensione e compassione per loro. Ma non hanno ragione.
Uno dei passaggi più belli del libro secondo noi è “ Il patto con il Mare “ che segue un altro aneddoto di vita marinaresca. Puoi spiegare ai lettori cosa ti ha lasciato dentro quel momento?
Una sensazione di scavalcamento. Da quel momento non sarei più stato solo un ospite in mare, ma parte di un mondo. Soprattutto, quel giorno ho capito che per quante arie mi dessi, per quanto sulla terraferma io pensassi di essere chissà chi, in mare non contavo niente. Quel giorno il mare mi ha costretto prendere il mio ego a forma di ramo secco, di spezzarlo con le mani e un ginocchio, e di buttarlo in mare, perché andasse alla deriva. Nessuno ha saputo impormi una cura tanto efficace. Devo molto al mare, proprio per questo.
Da quello che scrivi la tua propensione al viaggio è stata ispirata anche dai tuoi genitori che definisci come una sorta di “nomadi vacanzieri”. Cosa ti hanno dato quelle esperienza vissute nella fanciullezza?
Crescere sempre su una strada, come uno zingarello, ogni giorno svegliarmi in un luogo diverso, mi ha dato una certa familiarità con la diversità, mi ha fatto capire cosa si poteva trovare in un pomeriggio piovoso a Titograd (oggi Podgoriza), in un frutteto di prugne, senza niente da fare, solo osservando cosa fosse il mondo lontano da dove ero nato. La loro mania di muoversi sempre verso est e sud, poi, ha inciso sulla mia concezione dell’esotico, cosa che ha avuto un grande peso in quel che ho vissuto dopo. Per me, sangue ligure, a est e a sud c’è solo il Mediterraneo.
Capitolo cibo: sappiamo della tua passione culinaria, in questo libro descrivi delle ricette che sembrano essere squisite. Hai trovato in questi anni un nuovo ingrediente particolare nei luoghi del viaggio?
Gli ingredienti mediterranei sono una meraviglia, e si arricchiscono sempre. Il Sommaco turco, ad esempio, o le piccole prugne selvatiche da cucina georgiane, o l’uso smodato del prezzemolo dei libanesi, ma anche, per paradosso, un certo modo di restringere gli agrumi per una salsa agrodolce, imparato in Israele. Ma se mi metto a fare l’elenco dei sapori scrivo un libro, non un’intervista…
In qualche passaggio accenni ad una “provenienza orientale” delle tue/nostre origini. Puoi spiegare a cosa ti riferisci?
Mi riferisco al fatto che sento grande sintonia con ciò che ho a levante e a mezzogiorno, come dicevo poco sopra. Noi siamo mediterranei, e a ovest del Mediterraneo non c’è praticamente nulla, a parte qualche arcipelago molto bello e importante. Sta tutto a est e a sud, questo almeno è ciò che io sento come uomo che cerca e che si orienta. Orientarsi, appunto: guardare a oriente.
Capitolo solidarietà in mare verso i migranti. Le storie che descrivi con la tua visita a Nave Aquarius sono davvero toccanti. Ne abbiamo parlato diffusamente anche l’ultima volta che ci siamo sentiti. Cosa è cambiato in questi 5 anni?
Purtroppo non molto. Quando in un film sui nazisti vediamo che in Germania tutti facevano finta di non vedere i lager che bruciavano ebrei, ci indigniamo. Ma è esattamente quel che fa la politica e gran parte della popolazione italiana oggi: abbiamo lager, luoghi di torture sovrumane, di fronte a Sciacca. Ma facciamo finta di niente. E ogni istante una lama entra nella carne, una donna o un uomo vengono seviziati, mentre noi facciamo finta di niente. Uomini e donne capaci di fare come se nulla fosse di fronte a questo sono il punto più basso dell’umanità. Quando ho visto i volti di questa gente disperata in cerca di salvezza, soprattutto nel Dodecaneso durante la crisi del 2015, mi sono sentito davvero male, davvero vicino alla parte peggiore della mia umanità.
Parliamo delle plastiche e microplastiche nelle acque, argomento che affrontiamo spesso: nel 2013, parlando con un tecnico del controllo ambientale nella Penisola del Sinis, ci disse che c’erano così tante microplastiche in circolo nell’ecosistema marino, che era “già tardi” e che bisognava correre subito ai ripari. Abbiamo visto che in molte parti del mondo sono uscite novità e brevetti che possono pulire le acque di mari e oceani dalle plastiche. Secondo te, cosa si potrebbe fare concretamente “ a valle “, dato già per scontato che per risolvere il problema vada fatta a monte una riduzione drastica di imballaggi e che la plastica debba essere vietata incondizionatamente?
Io ho molta fiducia nella tecnologia, sono certo che l’uomo troverà una soluzione alle micro plastiche e ai tanti danni che abbiamo creato all’ambiente. Ma questo salva solo il pianeta, non salva l’uomo. L’uomo, se vuole salvare la sua anima e il suo corpo, deve vivere diversamente. e io da molti anni sto cercando di fare questo. A casa, io e mia moglie autoproduciamo in modo naturale sapone per i piatti, per i panni, per i denti, pasta lavamani da meccanico, pesticidi naturali non inquinanti per allontanare i parassiti dall’orto, creme di bellezza, cibo, tutto il possibile. Questo fa bene a noi, prima di tutto, e poi al pianeta. La via credo sia questa.
Parli della tua Ultima Thule, come luogo ideale per trovare un degno riparo dai pericoli della società odierna e per fondare un nuovo spirito di vita associata che ci permetta di “restare umani”. Ci può essere un modo per trovare l’equilibrio e rifuggire il negativo di questa società, non rinnegandola totalmente?
Io non rinnego niente, sono immerso nella società, ma sono anche immerso nella vita umana, nella mia vita. Dalla società massificata, consumista, inquinante, voglio stare alla larga, diserto, non partecipo. Ma questa non è la società, è la sua forma deviata. Io voglio costruire una società diversa, a partire da me, fatta di silenzio, solitudine, distanza, e poi di incontro, costruzione progettuale, comunicazione autentica. La mia ricetta, semmai ce ne può essere una, è quella di smettere di partecipare, per partecipare molto di più a qualcosa di diverso.
Puoi darci un’idea dei tuoi prossimi progetti, che da quello che abbiamo capito sono gli stessi di Mediterranea?
I miei progetti riguardano la scrittura, lo studio, la meditazione, la solitudine, il silenzio, il lavoro manuale, i tempi della vita. E riguardano anche un’isola patria, scovata dopo tanti anni di navigazione. E molto anche Mediterranea, che percepisco come casa, come gemma prodotta con grande sacrificio ed enorme soddisfazione. Mediterranea proseguirà, mentre doveva fermarsi. E lo fa grazie a una parola magica, meravigliosa: “Insieme”. Mediterranea ha generato un gruppo di persone belle, attive, sincere, profonde, partecipi, che oggi lavorano con me, Filippo Mennuni e Francesca Piro alla prosecuzione di un grande progetto sociale. La barca, e la spedizione, ripartiranno a fine aprile, all’incirca. Continueremo a cercare il Mediterraneo, a conoscerlo, a chiedere per capire. Nuovi modelli di vita e di relazione sono possibili, noi li stiamo elaborando.
Strepitosa l’idea di una mega-festa in alto mare: quando la fai ci inviti?
Ah come mi piacerebbe! E purtroppo le cose che mi piace finisco sempre col farle. Vedremo. Sarete i primi a saperlo.
Per chi vuole essere aggiornato sul Progetto Mediterranea, può connettersi al sito del progetto o con la pagina Facebook dove può trovare materiale e prossimi appuntamenti con le presentazioni del libro.
Bellissima descrizione di un’esperienza di vita e di una ricerca della stessa con un ritorno al naturale, al semplice , alla bellezza, a quel Paradiso Terrestre, esistente e che si sta distruggendo per interessi di persone o di gruppi ( che si ritengono intellettuali) che non hanno capito il vero valore della vita e che purtroppo, per il loro potere economico hanno e continuano a contaminare nell’ animo dei mass.
Certamente, una certa indipendenza economica ha permesso al sig Perotti di poter portare avanti questa sua bella esperienza di vita libera. La stessa, in una maniera ancora più sana e più libera la si può cogliere nella vita dei pochi popoli Indios e di altre azioni rimasti a viveri nei pochissimi territori vergini ancora esistenti, con la differenza , oggi molto importante , che lui, da intellettuale, riesce ad esternarla e a coinvolgere gli altri,che ci auguriamo sempre più numerosi. Grazie a questo sito, per esserne venuto a conoscenza e auguri per un “semper ad maiora.” .
Più passa il tempo più cose del genere saranno rare, pian piano i posti “vergini” vengono spazzati via in nome di un guadagno personale, che spesso e volentieri fa comodo solo a pochi, distruggendo ecosistemi e ambienti di vita millenari, che peccato.