Diversi studi, di recente, hanno dimostrato scientificamente il potere terapeutico dello shopping ma ci siamo mai chiesti quale impatto ha la moda low cost su ambiente e salute umana? Pensiamo a grandi catene, alcune citate in siti come www.vestilanatura.it.
I cataloghi di H&M, Zara, Primark e molti altri noti marchi propongono, a distanza di poche settimane, nuovi capi da acquistare online e in negozio.
Parliamo d magliette, jeans, camicie, stivali ecc., venduti ai consumatori a pochissimi euro; parliamo di capi all’ultimissimo grido, accessibili a chi non può permettersi di rinnovare il proprio guardaroba spendendo una grossa cifra.
Ma com’è possibile che un’azienda possa sostenere costi di un sistema del genere? E con quali ripercussioni sulla salute umana e sull’ambiente?
Indice dei contenuti
I danni alla salute umana della moda low cost
La moda low cost:
- viene prodotta in Paesi sottosviluppati
- utilizza manodopera sottopagata, senza contratti e tutele
- si avvale soprattutto di forza lavoro femminile
- sfrutta intensivamente il lavoro minorile
- costringe i lavoratori a turni di lavoro estenuanti
- avviene all’interno di strutture fatiscenti
- è prodotta in ambienti adibiti a fabbriche ma privi di condizioni igienico-sanitarie
In Bangladesh il più grande incidente dell’industria tessile nella storia
Tra i Paesi sottosviluppati in cui la moda low cost ha attecchito troviamo il Bangladesh. Proprio qui, il 24 aprile 2013, si è verificato il più grande incidente mortale avvenuto in una fabbrica tessile nella stora.
Parliamo del crollo del Rana Plaza, con 1129 vittime e 2515 feriti.
Una disgrazia senza precedenti che si poteva evitare se solo si fossero ascoltate le segnalazioni, effettuate giorni prima, sulle pessime condizioni di sicurezza dell’edificio commerciale di 8 piani, pieno di numerose crepe.
L’intera struttura, infatti, non era potenzialmente in grado di reggere il peso e le vibrazioni di macchinari pesanti ma gli operai, anche quel maledetto giorno, furono costretti ad occupare le loro postazioni, pena la trattenuta di un mese di stipendio, minacciati persino con la forza.
I danni ambientali della fast fashion
La fast fashion, con i suoi segreti del successo che la rendono immortale come il cheeseburger, piace, costa poco, si cambia in fretta.
Ma se è vero che al prezzo di una maglia acquistata in un negozio lussuoso se ne possono comprare 20 a prezzo ridotto, è pur sempre vero che questo meccanismo non alimenta solo lo sfruttamento della manodopera (spesso si tratta di donne e ragazzine minorenni) ma inquina l’ambiente in modo silenzioso e progressivo.
Secondo i dati, dal 1960 al 2015 si è verificata un’impennata di rifiuti tossici fuori da ogni regola, con un aumento dell’811%. Basti pensare, ad esempio, che solo nel 2015, sono finite in discarica 1630 tonnellate di vestiti.
Ogni anno finiscono negli inceneritori 12 milioni di indumenti, con un impatto terrificante sulle emissioni di CO2 e quindi dell’effetto serra.
L’industria tessile produce, annualmente, 62 milioni di tonnellate di indumenti e il 50% di questi ultimi finisce nel cestino della spazzatura in meno di un anno.
Alla delicata questione connessa allo smaltimento dei rifiuti, già al collasso, si aggiunge quella dell’impiego di fibre sintetiche (nylon, elastan, poliestere)…materiali plastici derivati dal petrolio.
Spesso per fissare i coloranti vengono rilasciati nell’ambiente metalli pesanti che finiscono nelle foglie, nei fiumi e nei mari, inquinando le falde acquifere potabili e assimilati dal nostro organismo bevendo acqua del rubinetto.
E cosa dire della coltivazione intensiva del cotone che richiede massicci quantitativi di acqua ma soprattutto di pesticidi?
Quali indumenti scegliere?
Alla vista di questi sconcertanti dati, quali indumenti scegliere? Occorre orientarsi verso capi fatti di fibre naturali, in grado di garantire confort, resistenza, ventilazione naturale, assorbendo l’umidità e rilasciandola velocemente all’esterno.
Le fibre naturali non producono eruzioni cutanee, prurito, allergie e sono vitali per le economie di molti paesi in via di sviluppo, come mezzi di sostentamento dei piccoli agricoltori e lavoratori dal basso reddito.
Si spera che queste abbiano un ruolo chiave nell’economia green, basata sull’efficienza energetica e sulla riduzione di emissioni di CO2, aumentando la possibilità di riciclo, in modo da ridurre al minimo il problema dei rifiuti.
Insomma, il prezzo che apparentemente non paghiamo scegliendo un capo di moda low cost, lo stanno pagando i lavoratori sovrasfruttati per pochi spicci al giorno. gli uomini in termini di salute e l’ambiente, in termini di inquinamento. Meglio, dunque, una scelta più accurata e meno frettolosa degli indumenti da indossare, tenendo conto delle etichette.
A riguardo le certificazioni GOTS, Oeko-Tex Standard, FWF, Far Trade sono, di sicuro, più rispettose del Pianeta e di chi lo popola.
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