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Moda e sfruttamento del lavoro: la storia della blogger che ha messo a disagio H&M

by Agnese Tondelli
2 Ottobre 2019
in Lavoro, Solidarietà
0

H&M è la sigla di un noto marchio d’abbigliamento low cost svedese. Una sigla che in questi giorni sta suscitando un acceso dibattito, a causa dei presunti retroscena che si celerebbero dietro la lavorazione di questi vestiti.

Tutto è iniziato con il progetto, promosso da Aftenposten, un noto quotidiano norvegese, di mandare tre giovani fashion blogger (Anniken Englund Jørgensen, Frida Ottesen e Jens Ludvig Hambro Dysand) in Cambogia, uno dei Paesi in cui H&M (e non solo) produce la maggior parte dei suoi capi. Lo scopo era quello di girare  Sweat Shop, un documentario-reality, pensato per raccontare ai giovani da dove viene la maggior parte dei vestiti che indossano ogni giorno. Per farlo, i tre ragazzi hanno dovuto lavorare per un mese nei laboratori tessili, vivendo nelle stesse condizioni in cui vivono gli operai, sostenendo turni di lavoro massacranti e dormendo in alloggi fatiscenti.

Lo scenario che si è palesato davanti ai blogger non è stato dei migliori: 16, ma anche 18 ore di lavoro al giorno, stipendi molto al di sotto del “salario minimo” concepito in Occidente, totale assenza di norme igienico-sanitarie e di tutele. Condizioni disumane che accomunano diversi laboratori tessili disseminati nei Paesi in via di Sviluppo.

Uno scenario così straziante che ha spinto la giovane fashion blogger Anniken, di 17 anni, a raccontare a tutti ciò che aveva visto, una volta rientrata in patria.

Così, Anniken ha cominciato a fare i nomi delle aziende coinvolte nello sfruttamento degli operai, in particolare H&M, ma anche Zara, Primark e tante altre, raccontando la sua esperienza sul proprio blog.

Una lotta condotta in solitaria, però, perché sembra che lo stesso giornale promotore del reality l’abbia abbandonata, impedendo a lei e agli altri ragazzi di rilasciare dichiarazioni “scomode” agli organi di stampa. Cosa che non ha fermato la giovane fashion blogger a farsi promotrice di un boicottaggio mirato che è arrivato ad attirare l’attenzione e il malcontento dei vertici dell’azienda H&M. Vertici che hanno deciso di incontrarla nella sede principale a Stoccolma, annunciando di aver preso provvedimenti nei confronti dei laboratori tessili che trattano in maniera disumana i propri dipendenti. Accusa a cui l’azienda non è nuova.

Nel 2011, ricordiamo, si erano verificati alcuni episodi di svenimenti di massa in una fabbrica tessile cambogiana che lavorava per la stessa H&M. Oltre 300 operai si erano accasciati a terra per motivi apparentemente inspiegabili. A quel tempo, come spiegato in un articolo comparso su La Stampa: “Un leader sindacale ha rivelato che, nei due mesi precedenti, gli operai erano stati costretti a straordinari di fino a sei ore al giorno. Dato che lo stipendio base è di 61 dollari al mese (42 euro) per 48 ore alla settimana, in molti contano comunque sugli straordinari per arrotondare. La malnutrizione e l’insufficiente aerazione dei locali contribuiscono probabilmente al fenomeno: molti operai non spendono più di 30 centesimi di dollaro (quanto guadagnano in un’ora) per il cibo, e sono ormai una costante le segnalazioni di strani fumi emanati dai macchinari o gas spruzzati sulle stoffe, che a lungo andare debilitano i lavoratori”.

Tags: abbigliamento low costannikenAnniken Englund Jørgensenaziende tessilicambogiafashion bloggerH&msfruttamento lavorosweat shop
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