L’olio di palma fa male all’ambiente e la deforestazione gravissima in Indonesia ne è uno dei lampanti esempi mondiali. Greenpeace ha infatti pubblicato un video che mostra la massiccia devastazione delle foreste tropicali che conferma l’inquietante fenomeno.
Noi stessi abbiamo pubblicato poche settimane fa un articolo che parla delle case dell’ossigeno dove i bambini indonesiani sono costretti a rifugiarsi per poter respirare senza il pericolo del fumo scatenato dagli incendi.
L’olio di palma è una deforestazione senza tregua.L’ennesima inchiesta di Greenpeace mette ancora una volta luce sulla devastazione causata in Indonesia dall’industria alimentare.
Le immagini della catastrofe ambientale sono state divulgate attraverso un video, che mostra un’enorme area di recente deforestazione all’interno della foresta pluviale di Papua. Il video è stato già condiviso da migliaia di utenti Facebook.
Scopriamo di più su questa devastazione.
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Olio di palma e la deforestazione senza pietà causata dai grandi marchi
Secondo Greenpeace, la foresta tropicale viene distrutta per far spazio alle piantagioni di olio di palma di un’azienda presso cui si riforniscono quattro big del settore alimentare e non solo: Mars, Nestlè, Unilever e Pepsico. Quattro multinazionali che si erano impegnate a non rifornirsi di olio di palma proveniente da atti di deforestazione ma che, secondo Greenpeace, “non hanno mantenuto le promesse”.
Le immagini riprese dall’associazione sono state girate tra marzo e aprile 2018, in una concessione di olio di palma controllata da Hayel Saeed Anam Group. L’area interessata dalla deforestazione comprende anche alcune zone protette dal governo indonesiano, in cui è vietato lo sviluppo commerciale.
Devastata un’area grande quanto metà Parigi
Tra maggio 2015 e aprile 2017, sono stati distrutti 4mila ettari di foresta pluviale in Papua. Un’area pari alla metà dell’estensione di Parigi.
Martina Borghi, responsabile della campagna Foreste di Greenpeace Italia, spiega:
«Secondo i dati del ministero dell’Ambiente indonesiano, tra il 1990 e il 2015 l’Indonesia ha perso circa 24 milioni di ettari di foresta tropicale: più di ogni altro paese al mondo. Dopo aver distrutto gran parte delle foreste pluviali di Sumatra e Kalimantan, l’industria dell’olio di palma sta ora avanzando verso nuove frontiere vergini, come Papua».
Secondo Borghi, il governo indonesiano dovrebbe assicurare che vengano adottate e rispettate politiche volte a fermare la deforestazione, il drenaggio delle torbiere e lo sfruttamento dei lavoratori e delle comunità locali. Solo in questo modo può continuare a difendere l’industria dell’olio di palma senza compromettere un patrimonio ambientale di inestimabile valore.
Il potere di scelta dei consumatori
Negli ultimi anni, un numero crescente di aziende ha deciso di rinunciare all’utilizzo dell’olio di palma all’interno dei propri alimenti. Complice la grande risonanza mediatica che hanno avuto inchieste come quella condotta da Greenpeace e i dubbi suscitati dalla presenza di possibili contaminanti tossici nell’alimento, come nel caso del sequestro di Reggio Emilia.
Greenpeace in un comunicato decreta una piccola vittoria: “Da tempo stiamo chiedendo alle multinazionali un impegno concreto per proteggere le foreste distrutte dalla produzione industriale di questo olio.
E pochi gioni fa Wilmar, il più grande operatore mondiale di questo malsano business (commercializza il 40% di questa materia prima) ha fatto un importante passo in avanti, promettendo che controllerà la propria filiera.
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Per questo non vogliamo fermarci: continueremo a raccogliere firme, denunciare e mobilitarci affinché altre multinazionali come Mondelēz, Nestlé e Unilever, che acquistano olio di palma da diversi fornitori, si impegnino ad abbandonare l’utilizzo di olio di palma prodotto a discapito delle foreste e dei diritti umani.”
Perchè l’olio di palma aumenta le emissioni di CO2
Abbiamo quindi spiegato come la produzione in aumento di olio di palma, un ingrediente molto comune in alimenti, saponi e prodotti per la cura del corpo, sta portando alla distruzione delle foreste pluviali e a massicce emissioni di anidride carbonica.
Lo studio della Stanford University e’ stato pubblicato su Nature Climate Change. La ricerca ha mostrato che la deforestazione, in favore di piantagioni di palme, nel Borneo sta diventando una significativa fonte di emissioni di CO2: secondo le proiezioni, potrebbe infatti portare un contributo di oltre 558 milioni di tonnellate di anidride carbonica in atmosfera entro il 2020. Con la velocità di espansione attuale, le foreste pluviali saranno ridotte ad appena il 4% entro il 2020.
Il maggior numero di piantagioni di palme da cocco nel Borneo riguarda l’isola di Kalimantan: solo nel 2010, la deforestazione, a causa delle piantagioni, ha provocato l’emissione di oltre 140 milioni di tonnellate di anidride carbonica, un quantitativo equivalente a quello prodotto annualmente da 28 milioni di veicoli.
Determinante è il nostro potere di scelta: cerchiamo di avere un occhio di riguardo in più quando acquistiamo, evitiamo prodotti con olio di palma, quando è segnalato. In Norvegia per esempio è stato ridotto il consumo della sostanza dei due terzi rispetto al 2011 quando i produttori di generi alimentari hanno consumato 15.000 tonnellate di questo prodotto.
Il tutto semplicemente con una campagna che ha sensibilizzato l’opinione pubblica. Prendiamo spunto da queste iniziative per rispettare il nostro Pianeta.
Firma anche tu la petizione di Greenpeace
I consumatori possono, attraverso scelte consapevoli, determinare il cambiamento. Da dove partire? Dalla classifica WWF dei prodotti realizzati con olio di palma sostenibile.