Si chiama Tilapia ed è il pesce più consumato al mondo. Si tratta di un prodotto molto diffuso dell’itticoltura cinese che ha prepotentemente conquistato i mercati di mezzo mondo. Il suo segreto? Cresce molto velocemente e costa poco. Ma cosa si nasconde dietro le carni del pesce Tilapia?
Scopriamo insieme perché bisogna mangiarlo con attenzione e moderazione
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Tilapia: il pesce odiato dagli ambientalisti
La Tilapia è un prodotto di massa che si presta bene a essere allevato nelle vasche. Al mondo, infatti, sembra che sia la seconda specie ittica più allevata dopo la carpa. La ragione è da ricercarsi nelle sue caratteristiche: cresce velocemente, costa poco e ha un sapore poco marcato.
Qualche anno fa, Businessweek ha dedicato un lungo reportage alla Tilapia, sia per la crescita smisurata delle sue vendite, sia per le polemiche suscitate sul modo in cui viene allevata. Il Seafood Watch, infatti, l’aveva inserita all’interno della lista degli alimenti da evitare.
Gli ambientalisti non vedono di buon occhio la sua diffusione, a causa dell’impatto ambientale che gli allevamenti ittici massivi potrebbero avere sulla natura e al carattere invasivo della specie.
Tilapia: caratteristiche
La Tilapia è un pesce che cresce molto velocemente. Ad alimentazione prevalentemente vegetariana, riesce a raggiungere anche i 6 kg di peso. È una specie molto resistente, capace di vivere anche in acque inquinate.
Il mercato più fiorente per questo pesce è quello statunitense: solo nel 2010, sono state vendute circa 215mila tonnellate di Tilapia. Il principale produttore, come già accennato, è la Cina.
Le ragioni della sua diffusione
Oltre al fatto che è un pesce particolarmente profittevole per gli allevatori, la tilapia ha avuto una così grande diffusione, paradossalmente, per le sue carni insapori. Un particolare che soddisfa il palato di «un’ampia fetta di popolazione che non ama il pesce che sa troppo di pesce».
È un esemplare che non contiene neppure grassi omega 3, una delle principali virtù dei pesci di mare.
L’elevata produzione cinese della Tilapia ha fatto sorgere diversi malumori e preoccupazioni intorno alla sicurezza del prodotto. Sempre qualche anno fa, un rapporto del dipartimento statunitense all’Agricoltura ha messo in discussione gli standard cinesi di sicurezza per pesce e frutti di mare d’allevamento: «I pesci sono spesso allevati in acque dove si nutrono sugli scarti di pollame e bestiame».
Il problema degli allevamenti
Purtroppo, come per ogni prodotto di massa, anche l’allevamento della Tilapia ha dei lati oscuri. In particolare, sembra che per tagliare i costi della sua produzione, gli allevatori cinesi usino mangime solo quando il pesce è già cresciuto. Quando è ancora piccolo, infatti, sembra che il pesce cresca in acque dove vengono buttati scarti di animali, cibandosi in questo modo delle alghe che vi si sviluppano.
Ancora, si pensa che negli allevamenti i pesci vengano cresciuti con mais e soia OGM. Gli esemplari, inoltre, possono contenere fino a 10 volte la quantità di inquinanti organici presenti nella fauna selvatica.
Le scelte che possono fare la differenza
Come in ogni cosa, ciò che fa la differenza sulla bontà e sostenibilità di un prodotto sono i criteri attuati durante il suo allevamento. Di per sé, la tilapia non è un pesce pessimo, in genere non tende nemmeno ad accumulare mercurio nelle carni, il problema sono i metodi attuati da allevatori desiderosi di risparmiare al massimo sul prodotto.
Una soluzione potrebbe essere quella di scegliere sempre pesce tracciabile, proveniente da allevamenti certificati bio, dotati di strutture chiuse ed eco-efficienti.
Attenzione comunque alle truffe: alcune volte la Tilapia viene venduta come filetto di pesce persico o di cernia.
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