Sostanze Pfas: la loro presenza nell’acqua è una delle cause della carie

I ricercatori della School of Dentistry della West Virginia University hanno scoperto che una delle sostanze PFAS, l’acido perfluorodecanoico, e presente nelle acque, può essere collegato alle cavità dentali.

Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Public Health Dentistry, e i ricercatori descrivono le analisi che hanno eseguito e i dati che hanno utilizzato relativi a 629 bambini con un’età tra i tre agli 11 anni facenti parte di un database.

I campioni di sangue di questi bambini erano stati analizzati per verificare la presenza di sostanze PFAS nel 2013 e nel 2014. Venivano inoltre valutati altri fattori riguardanti la salute, in particolare quella dentale, e alcune patologie, tra cui la carie.

Dei sette Pfas esaminati, l’acido perfluorodecanoico, la cui struttura molecolare lo rende più persistente nell’ambiente, era quello associato a livelli più elevati di carie. Secondo i ricercatori, “questo acido può interrompere il normale sviluppo dello smalto dei denti, rendendoli più sensibili alla carie”.

Noi siamo venuti a conoscenza in tempi relativamente brevi delle problematiche riguardanti i Pfas, si è partiti dal Veneto a conoscerne la presenza e la pericolosità.

Sostanze Pfas: da dove nascono le prime informazioni

L’allarme Pfas Veneto è iniziato da quando nel sangue della popolazione sono state rilevate concentrazioni particolarmente elevate. Nel 2013, uno studio del CNR ha individuato nei comuni compresi tra Padova, Vicenza e Verona elevate concentrazioni.

L’inquinamento da Pfas in Veneto è una situazione che affonda le sue radici negli anni ’50 e che ha portato all’inquinamento delle falde acquifere e all’esposizione a importanti rischi di salute per i cittadini veneti.

I Pfas hanno inquinato le falde acquifere di una sessantina di comuni del Veneto e sono entrati nella catena alimentare, probabilmente a causa degli scarichi della fabbrica Miteni, che poche settimane fa ha dichiarato fallimento, cessando le attività. Nel gennaio 2019 il presidente della Regione Veneto ha emesso un’ordinanza che vieta fino al 30 giugno il consumo del pesce pescato proveniente dalle aree dove sono state riscontrate positività analitiche per i Pfas.

Dal 2013, la regione ha iniziato la sua battaglia, raggiungendo un importante traguardo: la dichiarazione dello stato d’emergenza da parte del Consiglio dei Ministri e la futura nomina di un commissario.

Sostanze Pfas Veneto: l’annosa questione dell’inquinamento

Ma cosa sono esattamente i Pfas? Le sostanze perfluoroalchiliche, o acidi perfluoroacrilici, appartengono a una famiglia di composti chimici che trova largo impiego all’interno della produzione industriale. Si tratta di acidi molto forti, in forma liquida, particolarmente stabili e resistenti ai naturali processi di degradazione.

Sono sostanze che trovano largo impiego nella filiera della concia delle pelli, nel trattamento dei tappeti, nel rivestimento delle padelle antiaderenti e nella produzione dell’abbigliamento tecnico, in particolare nel suo processo di impermeabilizzazione. Esistono diverse classi di composti. Quelli più persistenti nell’ambiente sono i PFOA e PFOS.

pfas veneto
Il fenomeno dell’inquinamento da PFAS in Veneto è stato originato da contaminazione industriale

Inquinamento da Pfas: i rischi per la salute dei cittadini

La dichiarazione dello stato d’emergenza per i Pfas Veneto è una vittoria per i cittadini, che negli ultimi anni hanno dovuto eseguire esami medici e screening.

Tra i rischi per la salute derivanti dalla contaminazione da Pfas troviamo un’ampia serie di patologie, tra cui compromissione della crescita e della fertilità, ma anche tumori a reni e testicoli, lo sviluppo di malattie tiroidee, ipertensione gravidica e coliti ulcerose. Si ritiene che gli effetti non siano immediati, ma conseguenti a una lunga esposizione.

La contaminazione avviene generalmente a causa dello smaltimento illegale delle sostanze nell’ambiente. In particolare, interessa le falde acquifere che raggiungono i campi e i prodotti agricoli.

Il governo dichiara finalmente lo stato d’emergenza

Nei giorni scorsi, il Consiglio dei ministri ha dichiarato lo stato d’emergenza Pfas Veneto, con la contestuale nomina di un commissario. A renderlo noto lo stesso governatore Zaia.

Questo il commento a caldo dell’assessore regionale Gianpaolo Bottacin:

«Da anni lavoriamo per la risoluzione del problema Pfas, anche a fianco del governo e alle varie strutture competenti, tra cui i ministeri dell’Ambiente e della Salute e il Dipartimento nazionale di Protezione civile. Ora che da parte governativa siamo arrivati all’attivazione dello stato di emergenza con poteri che implicano la gestione della situazione in forma commissariale, obiettivo per il quale avevamo da tempo attivato con il presidente Zaia le procedure formali di richiesta, abbiamo assieme davanti il grande impegno di dare una soluzione definitiva alla questione».

La preoccupante crescita della contaminazione di sostanze Pfas

I dati sono preoccupanti davvero: sono più che raddoppiate in otto mesi le persone che in Veneto risultano intossicate dai Pfas. A luglio 2018, quando la Regione rese pubblico il sesto Rapporto sull’andamento del Piano di sorveglianza sanitaria, risultavano 7.716 cittadini nati tra il 1966 e il 2002 per i quali era stato prescritto un percorso di approfondimento (di secondo livello) prenotando una visita presso gli ambulatori internistici e cardiovascolari.

Alla data del 5 marzo 2019 il numero è salito a 16.400 unità, pari a circa il 65 per cento della popolazione monitorata. Ma è solo l’inizio, e la cifra è destinata a crescere man mano che i cittadini vengono chiamati a sottoporsi ad analisi.

Le stime del giugno 2019

È il segno che la Regione Veneto non si aspettava risultati così preoccupanti. La dimostrazione viene dai dati contenuti nel decimo rapporto riguardante il Piano di sorveglianza sanitaria sulla popolazione esposta a Pfas appena pubblicato.

Alla data del 5 giugno, su una popolazione totale di 84.852 persone interessate allo screening, gli inviti spediti sono stati 51.400, pari al 60,6 per cento. Ad oggi le visite effettuate sono state 31.400 e gli esiti completi 28.600 (55,6% degli inviti).

Di questo ultimo numero ben 18.300 persone sono state prese in carico dal sistema sanitario regionale, nel cosiddetto secondo livello. Vuol dire che i Pfas nel sangue sono preoccupanti. Si tratta del 63,8 per cento rispetto agli esami completati.

Quante persone saranno interessate in percentuale? “Non è possibile prevederlo – risponde la dottoressa Russo, capo della Direzione prevenzione della Regione Veneto – e bisogna anche considerare che, oltre all’esposizione ai Pfas, il singolo potrebbe avere delle altre condizioni di rischio”. La Regione non vuole creare allarmi, ma la statistica è anche uno strumento di previsione. E ormai ci dice che il 64 per cento degli abitanti dei 32 comuni della zona Rossa (i più popolosi sono Legnago, Lonigo, Montagnana, Cologna Veneta e Noventa Vicentina) sono contaminati. Se la percentuale viene calcolata sugli 85mila interessati agli esami, si arriva a una ipotetica cifra di 54mila persone contaminate, anche se molte di loro non lo sanno perché non si presentano a sottoporsi agli esami.
Zaia: “Il tempo è galantuomo e mi ha dato ragione”

Anche il governatore Zaia ha espresso soddisfazione per la decisione del Consiglio dei ministri, non senza qualche nota polemica:

«Dico che il tempo è galantuomo. Ricordo che quando ho fatto la richiesta dello stato di emergenza per i Pfas, a settembre dello scorso anno, sono stato attaccato da mezzo mondo, dicendo che erano pure fantasie quelle di pensare ad un commissario e che il governo non l’avrebbe mai concesso. Vedo invece che ora la proposta che ho fatto è stata accolta, anche se ai tempi supplementari. Peccato, perché così si sono persi un sacco di mesi».
Essenziale ora è agire in tempi stretti:

«Ora l’obiettivo – conclude il Governatore Veneto – è fare bene e fare in fretta, attraverso una struttura commissariale che ci permetterà di snellire le procedure, e quindi anche realizzare velocemente il nuovo acquedotto. Conto che, nel giro di un anno, noteremo già i primi benefici e in due o tre potremmo arrivare al completamento dell’opera, cosa che in condizioni normali implicherebbe un tempo almeno doppio». 

La pubblicazione della Relazione ISS di Luglio 2019

E’ stata recentemente pubblicata la relazione dell’Istituto Superiore di Sanità in merito al PFAS e in sostanza la conclusione che si vuole far passare è la seguente: “La contaminazione dei veneti alle sostanze Pfas attraverso gli alimenti non è particolarmente preoccupante mentre l’acqua conferma il suo ruolo chiave come vettore della esposizione, anche se le misure di contrasto impiegate in questi anni avrebbero ottenuto risultati significativi”.

Di fronte a questo scenario, le varie associazioni ambientaliste e a difesa dei cittadini restano molto scettiche proprio perchè lo stesso documento di fatto ammette ancora la sussistenza di uno stato di emergenza generale con queste parole: ” “Permangono esposizioni elevate al PFOA in alcuni gruppi di popolazione. Specialmente nella zona A, le famiglie che fanno uso di pozzi privati… presentano livelli espositivi ancora eccedenti ilTWI (Dose settimanale accettabile di PFAS).” 

Secondo l’EFSA (Ente Europeo per la Sicurezza Alimentare) l’acqua contribuisce alla contaminazione da PFAS solo per il 20% mentre il restante 80% deriva dagli alimenti, pur essendo l’acqua il veicolo della contaminazione. Per questo non possiamo abbassare assolutamente la guardia.

In buona sostanza, c’è tuttora una bella differenza tra i livelli massimi fissati dal decreto Zaia (390 ng/litro per i PFAS totali) e la quantità di PFAS massima che secondo l’EFSA può sopportare senza rischio il nostro organismo!
Tuttavia il presidente della Regione, anche adesso che si conosce in linea ufficiale quanto siano pericolosi l’acqua e i cibi che noi mangiamo e che diamo da mangiare ai nostri bambini, si guarda bene dal prendere provvedimenti urgenti ed efficaci per proteggere la popolazione bonificando i mercati alimentari.

Le richieste e proposte concrete delle associazioni ambientaliste

1)       Modifica del superatissimo decreto regionale n. 1590 del 3 ottobre del 2017 che fissa i livelli massimi di PFAS negli acquedotti a 390 ng litro.                                                                                                                      Chiediamo che siano portati i massimi livelli di PFAS consentiti, il più possibile vicini allo zero, per tutti i cittadini del Veneto. 

2)       Misure immediate di abbattimento dei PFAS presenti negli acquedotti con l’apposizione di filtri.

3)       Progettazione e realizzazione di nuovi acquedotti con prese da falde non contaminate.

4)       Filiera, allegata ai prodotti alimentari e alle bevande immessi sul mercato, con marchio di certificazione PFAS FREE e nome e indirizzo del produttore e del distributore.

5)       Indicazione dettagliata di eventuali residui di sostanze tossiche presenti negli alimenti e nelle bevande.

SCARICA IL PDF CON LA RELAZIONE INTEGRALE DELL’ISS

Il rischio riguarda però tutta Italia

Ma non si tratta solo di Pfas in Veneto. Il problema è più generalizzato di quanto si pensi. Abbiamo avuto modo di parlarne a settembre dello scorso anno, quando abbiamo ripreso uno studio del Cnr, realizzato nel 2013, che parla di contaminazioni anche in altri territori: Santa Croce sull’Arno, in provincia di Pisa; il sottobacino Adda-Serio, in Lombardia; l’area del Bormida; l’asta del Po da Torino a Ferrara. Una situazione per cui è necessario prendere provvedimenti il prima possibile, senza più temporeggiare.

SCARICA IL PDF DELLA REGIONE VENETO SUL FENOMENO

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Photo by Daniel Frank from Pexels

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Comments 1

  1. Valeria Facchini says:

    Bella iniziativa complimento, anche per me l’ecologia è una delle tante passioni. In questo sito è spiegato bene come trattare i tappeti senza usare sostanze inquinanti. . . https://www.moranditappeti.it/pulizia-lavaggio-manutenzione/

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