Il New Delhi è il nome di un batterio che si sta diffondendo in tutta la Toscana.
Sembra si tratti di un evoluzione che nel tempo si è rafforzata per resistere agli antibiotici. Da tempo si parla dell’antibiotico resistenza e dei danni che nel tempo sono stati causati da questo uso massiccio e a volte non necessario. Il problema principale è l’enzima trasportato dal batterio, e cioè l’Ndm, che è molto aggressivo. Può essere combattuto, con un cocktail di otto farmaci, ma deve essere intercettato in tempo utile.
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Dove si è sviluppato il batterio killer New Delhi
Istituto superiore di Sanità (Iss) invita da alzare l’attenzione sulla situazione in Italia in seguito alla diffusione del super batterio New Delhi, che si è dimostrato particolarmente resistente agli antibiotici. Tra novembre 2018 e il 31 agosto 2019 in Toscana il batterio è stato isolato nel sangue di 102 pazienti ricoverati per patologie gravi.
L’aumento di casi di positività da New Delhi è stato rilevato tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019, proprio nel territorio dell’Asl Toscana Nord-Ovest. Il batterio è stato isolato nel sangue di bene 102 pazienti ricoverati per patologie più gravi. Tra questi ci sono stati il 37% dei decessi, il batterio potrebbe essere stato una concausa della situazione già delicati dei pazienti. Per ora è ancora tutto al vaglio degli studi.
I dati pubblicati dalla Regione Toscana sulla diffusione del batterio riguardano ben 708 ricoverati portatori del ceppo batterico, i dati al momento sono fermi al 25 settembre.
«L’infezione, riferiscono all’Asl Nord-Ovest, diventa letale in un quadro clinico già complicato, quando cioè il paziente è particolarmente debole oppure è provato da più patologie. Non è possibile dire che il decesso è causato direttamente da questo microrganismo, per quanto molto aggressivo».
Il monitoraggio condotto dall’Asl è stato fatto a partire dai primi di luglio sua alcune persone ricoverate al Versilia considerate più a rischio per un’eventuale infezione da New Delhi. Un centinaio di ricoverati sono stati sottoposti ad accertamenti specifici per verificare la presenza o meno del super batterio.
I controlli avvengono così: si fa il tampone rettale, che viene inviato al laboratorio analisi per l’emocultura. Non è chiaro quanti pazienti siano stati individuati come portatori, o colonizzatori come vengono definiti, del batterio. Né quanti siano risultati infetti. Almeno uno, però, sarebbe morto dopo l’infezione.
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Come avviene il contagio e la corretta profilassi
Il contagio passa da una persona all’altra per contatto. Col batterio “New Delhi”, spiegano gli esperti, si può anche convivere tutta la vita senza problemi. Sono batteri che normalmente fanno parte della flora intestinale umana e che, solo in taluni casi, diventano resistenti appunto agli antibiotici, e infatti il batterio è registrato ovunque in Italia.
La profilassi da seguire è quella igienica, dal lavarsi le mani all’uso di presidi e strumenti monouso, fino all’isolamento del paziente, e deve riguardare non solo gli operatori ma i ricoverati stessi e i parenti che si recano in ospedale a far loro visita.
Gli screening, che la Toscana regolarmente effettuava nei reparti di terapia intensiva (dove più alto è il rischio di colonizzazione) o laddove l’anamnesi dei pazienti li consigliava, sono stati estesi. E tutti i dati raccolti sono stati inseriti all’interno di un database, per una successiva indagine retrospettiva.
Non è comunque possibile, ribadiscono dalla Direzione Sanità, stabilire un nesso causale diretto, nella maggior parte dei casi, tra contrazione dell’infezione e morte, perché si tratta di una concausa che va ad agire su condizione cliniche già compromesse: pazienti magari che già accusano insufficienze renali, diabetici o con altre patologie, in molti casi anziani.