Il Comitato per i diritti umani dell’Onu, in una nota del 21 gennaio 2020, si è espresso sui migranti climatici, stabilendo che non è possibile respingere soggetti che si trovano ad affrontare situazioni indotte dai cambiamenti climatici che violano il loro diritto alla vita.
L’interpretazione di per sé non è vincolante ma lo sono gli strumenti giuridici cui fa riferimento il Comitato che controlla il rispetto, da parte degli Stati, del Patto internazionale sui diritti civili e politici.
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Il caso di Ioane Teitiota
Il Comitato, nel parlare dei migranti climatici, ha affrontato il caso di Ioane Teitiota, un quarantenne della Repubblica di Kiribati, nel Pacifico, la cui vicenda ha inizio alcuni anni fa.
Prima di arrivare all’Onu, Teitiota, riconosciuto dalla stampa internazionale come il primo rifugiato ambientale, chiede asilo alla Nuova Zelanda in quanto lui, la moglie e le loro tre figlie rischieranno la vita nella loro terra d’origine, tra le più esposte e vulnerabili ai cambiamenti climatici.
Il mare stava già erodendo le coste, invadendo le spiagge, infiltrando acqua salata sulla terra e diminuendo le riserve d’acqua dolce, tanto da costringere Teitiota e la sua famiglia a trasferirsi in Nuova Zelanda.
Ma in 1° e 2° grado la sua richiesta viene respinta dal Tribunale e la Corte suprema locale conferma i primi due giudizi.
I giudici, in particolare, fanno leva sull’insussistenza di prove che dimostrassero che le condizioni ambientali da affrontare in caso di rientro mettessero a repentaglio la sua vita.
Teitiota, invece, rivendicava una violazione dell’art 6 della Convenzione di Ginevra, affermando che lo Stato non lo aveva protetto a sufficienza.
Come si è espresso il Comitato dei diritti umani dell’Onu
Il Comitato dei diritti umani dell’Onu ha sottolineato come, nel caso specifico di Teitiota, non vi era stata nessuna violazione del principio di non respingimento, affermando però che:
- calamità improvvise ma anche processi più lenti come l’innalzamento del livello del mare possono favorire la mobilità di individui che ricercano protezione da questi eventi
- senza un importante sforzo nazionale e internazionale gli effetti del cambiamento climatico negli Stati d’origine possono esporre soggetti a violare il loro diritto di protezione ex. artt. 6 e 7 della Convenzione di Ginevra, trovando possibilità di applicazione il principio di non respingimento
- pur considerando che il rischio che un intero Paese venga sommerso dall’acqua è davvero un rischio estremo, le condizioni di vita nel Paese stesso possono diventare incompatibili con il diritto alla vita già prima che il rischio si realizzi.
Il Comitato ha però ritenuto legittime le previsioni del Tribunale e della Corte neozelandese le quali hanno statuito che un rischio che si materializza nei 10-15 anni futuri sia troppo speculativo per chiedere un protezione ora perché si tratta di un arco temporale che consente a Kribati , col supporto della Comunità internazionale, di adottare misure per proteggere e, se necessario, ricollocare la sua popolazione.
La forte influenza dei cambiamenti climatici sulle migrazioni
Tra i cambiamenti destinati a crescere nei prossimi anni troviamo:
- riscaldamento globale
- acidificazione dei ghiacciai
- innalzamento del livello del mare
- riduzione del permafrost
ed essi sono correlati con:
- l’aumento della frequenza e dell’intensità di eventi meteorologici estremi (ondate di calore, siccità, inondazioni, cicloni, incendi boschivi)
- l’alterazione dei sistemi idrici
- il crescente tasso di estinzione di specie animali e vegetali
Uno dei più grandi effetti dei cambiamenti climatici è l’aumento delle migrazioni delle popolazioni più vulnerabili, cui conseguono altri gravissimi problemi connessi a:
- gestione dei flussi delle persone in entrata
- alloggi
- infrastrutture di trasporto
- servizi sociali
- opportunità di lavoro
- disoccupazione
- inadeguato accesso all’acqua potabile e a servizi sanitari
- inadeguata gestione dei rifiuti
- limitato accesso a trasporti ed elettricità
Seppur non vincolante, la sentenza del Comitato dei diritti umani dell’Onu dovrebbe, dunque, farci riflettere sul futuro, per niente roseo, dei migranti climatici e, in generale, dell’umanità.