Quanto siamo disposti a rischiare per la salvaguardia ambientale? C’è chi è arrivato al sacrificio della vita pur di battersi per il Pianeta Terra. Un numero di ‘martiri’ che purtroppo è in aumento con una sequenza penosa di omicidi in Sud America, a causa dell’immobilismo delle istituzioni e degli interessi economici legati allo sfruttamento delle risorse naturali.
Dal 2015, il quotidiano britannico Guardian, in collaborazione con Global Witness, ong che contribuisce a rendere pubblici gli abusi contro l’ambiente, racconta le storie dei cosiddetti defender. No, non si tratta di una serie Marvel, ma di qualcosa di estremamente serio: sono i martiri del Pianeta Terra, persone che hanno sacrificato la vita nelle loro battaglie per la salvaguardia ambientale, contro inquinamento e sfruttamento degli animali e delle risorse naturali.
Ogni anno, il Guardian raccoglie le storie di questi martiri. Producendo infografiche e report sulle loro battaglie. Nel 2015, quando l’inchiesta è partita sono stati 185 i defender morti. Nel 2016 sono saliti a 201. Durante il 2017 si è mantenuti la stessa quota. Assistiamo ad una preoccupante impennata degli omicidi negli ultimi due anni.
La maggior parte di loro vivevano e operavano in aree in via di sviluppo: America Latina, Africa, Sud Est Asiatico. Aree del pianeta dove la tutela dell’ambiente cozza spesso con progetti di “sviluppo” economico che distruggono interi ecosistemi.
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Gli ultimi omicidi del 2019 per i difensori dell’Amazzonia
La strage dei difensori dell’ambiente sembra non aver mai fine in Amazzonia. Di questi ultimi giorni l’ultimo omicidio in Brasile e alcune esecuzioni in Colombia, vengono dopo due brutali uccisioni in Brasile e Guatemala di qualche settimana fa.
Ce ne parla GreenPeace.org, del brutale omicidio di Paul Paulino Guajajara, nel nord del Brasile. Una delle tante imboscate da vigliacchi, con uccisioni a bruciapelo, come se vi fosse un briciolo di dignità nel togliere la vita ad un’altra persona, in altri modi.
Scriverne è un dovere sociale, anche perché si tratta di una strage strisciante annunciata, come abbiamo spiegato all’inizio di questo articolo. La scorsa settimana è successo in Colombia, con altri cinque indigeni. L’unica cosa che ci sembra opportuno sottolineare è che siamo tutti responsabili, anche, anzi forse soprattutto, noi europei e occidentali in generale.
Siamo noi i consumatori di legname, minerali, metalli, petrolio, risorse naturali. Ci stringe il cuore, ma nessuno rinuncia alle comodità, all’automobile per fare 500 metri, alle luci accese e tutti i comfort che ben conosciamo e di cui Paulino non è a conoscenza.
Finché non ci sarà un cambiamento radicale e profondo nelle abitudini occidentali, nell’etica ma soprattutto nella coscienza, tutto quello che gli occidentali potranno fare – sebbene totalmente inutile – sarà diviso in due parti. Quelli che soffrono sinceramente per questa situazione, ma non intendono cambiare la coscienza e non vogliono rinunciare a nulla.
Pereira dos Santos in Brasile
Pereira dos Santos lavorava da dodici anni per la Fondazione nazionale dell’indigeno (Funai), l’ente nazionale brasiliano per la protezione dei popoli della foresta. E’ stato ucciso come un cane di fronte alla sua famiglia.
Negli ultimi tempi, era in servizio nella base Ituí-Itacoaí, una postazione creata a bordo di un’imbarcazione, a una quarantina di chilometri da Atalaia do Norte, porta d’entrata nella Vale do Javarí, uno dei punti più impenetrabili della selva e, per questo, casa di 17 etnie native in isolamento volontario. La maggior concentrazione di indigeni del mondo.
Una zona ricca di materie prime nel mirino di potenti interessi minerari e dei trafficanti di legname. Gente pronta a tutto, anche ad uccidere. Le avvisaglie che si potesse arrivare a tanto non erano mancate.
Per questo, Pereira e la base di Itaí-Itacoaí erano stati più volte vittime di minacce e aggressioni. L’ultima risale al 19 luglio quando sconosciuti avevano sparato sulla postazione. Nessuno ha protetto Pereira e colpito gli attentatori.
Diana Isabel Hernandez Juarez in Guatemala
Diana Isabel Hernández Juárez, insegnante e coordinatrice della pastorale del Creato della parrocchia di Nostra Signora di Guadalupe, in Guatemala, è stata uccisa mentre partecipava ad una processione. Un omicidio simbolico e pubblico perché tutti capiscano che è inutile e pericoloso provare a sbarrare la strada a chi fa scempio del territorio.
Diana era un’attivista che promuoveva la custodia e la protezione dell’ambiente e dei beni naturali e a questa causa ha dedicato gran parte della sua vita con un entusiasmo che la sua gente ricorderà per sempre.
Pereira e Diana credevano che il mondo e la natura sono bene comune da proteggere ad ogni costo. Che la vita delle donne e degli uomini, specialmente i più deboli, sia la più preziosa delle risorse di Madre Terra.
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Salvaguardia ambientale: i luoghi più pericolosi per i difensori della Terra
Come abbiamo accennato, l’America Latina è uno dei luoghi più pericolosi sul pianeta per i difensori della salvaguardia ambientale. Il Brasile detiene infatti il triste record del numero più elevato di martiri per la Terra. 132 persone sono morte, dal 2015, combattendo soprattutto contro lo sfruttamento illegale della Foresta Amazzonica. A seguire, in questa ‘classifica’ degli orrori ci sono le Filippine: nel Paese asiatico sono già morti 75 defender. L’Honduras, invece, è la nazione dove c’è il più elevato numero di assassini pro-capite tra i difensori dell’ambiente. Ed ecco i dati del 2016
Grazie a questa infografica, tratta dallo strumento in continuo aggiornamento offerto dal Guardian, è possibile comprendere le dimensioni del fenomeno nel mondo e i luoghi più pericolosi come si può vedere dall’immagine in alto.
Il quotidiano spiega poi che il fenomeno delle aggressioni e delle uccisioni dei defender è in aumento:
«Il bilancio delle vittime è incrementato negli ultimi anni. I ricercatori avvertono che, probabilmente, il trend è destinato a crescere ancora, se governi e aziende continuano a non agire».
Chi sono i nemici della Terra?
Come abbiamo spiegato, le morti dei difensori dell’ambiente sono troppo spesso legate al business, al profitto. Principalmente, il settore contro cui si battono è quello dell’industria mineraria. Ma anche l’abbattimento degli alberi, l’agricoltura intensiva, le dighe costruite per ricavare energia idroelettrica.
«Molte delle uccisioni registrate – spiega ancora il Guardian – avvengono in villaggi remoti, incastonati in catene montuose e foreste pluviali. Le comunità degli indigeni sono le più duramente colpite».
Anche per i diversi settori “merceologici” correlati, il quotidiano ha realizzato una sorta di classifica delle morti dei martiri della salvaguardia ambientale. Ecco i dati relativi al 2016:
- Attività estrattive: 33 morti
- Abbattimento delle foreste: 23 morti
- Agribusiness: 23 morti
- Bracconaggio: 18 morti
- Acqua e dighe: 8 morti
Salvaguardia ambientale: le storie dei martiri del 2017
Vogliamo ricordare anche quanto accaduto in Perù nel 2017. Il primo settembre, 6 agricoltori sono stati ammazzati da una gang criminale locale perché non hanno voluto rinunciare alla propria terra, fonte di sostentamento. Secondo i capi degli indigeni, i criminali volevano creare, al posto delle terre dei contadini, una piantagione per la produzione di olio di palma.
Nel mese di agosto, 3 ranger sono stati uccisi mentre difendevano gli animali allo stato brado, in aree protette. Gli omicidi – in Brasile, in Messico e in Mali – sarebbero legati alla caccia illegale.
Sempre ad agosto, ma in Tanzania, Wayne Lotter, che si è battuto tutta la vita per la preservazione degli elefanti, è stato ucciso dai bracconieri. Aveva 51 anni.
Fonte: The Guardian
Ciao
anche noi ci occupiamo di ecoreati e di rivalutazione dell’ambiente
in questo periodo in zona Brà (CN)
tu di dove sei
se vuoi dare un’occhiata anche qui potremo unire le forze che è sempre utile
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Saluti