Una casa dove il riscaldamento interno è garantito dal calore generato dagli elettrodomestici e dalle persone che vi abitano. È questo l’obiettivo di Passivhaus, l’abitazione che, attraverso un sistema di ventilazione meccanica, recupera energia in maniera alternativa.
Il concetto di casa passiva, in realtà, non è nuovo. Anche se in Italia si inizia a parlarne da relativamente poco tempo, in Germania esiste già dal 1989. In quegli anni, infatti, due università nordeuropee decisero di collaborare per concepire una nuova generazione di abitazioni sostenibili. Queste strutture avrebbero dovuto sfruttare la qualità dei materiali costruttivi e l’esposizione solare, riducendo in questo modo al minimo il fabbisogno energetico per il riscaldamento interno dell’edificio. Da questa intuizione nacquero le case passive.
Per capire di cosa si tratta, ci affidiamo alle parole di Francesco Nesi, fisico edile e presidente di Zephir, un istituto di ricerca privato nato nel 2011 a Trento, per rappresentare il Passivhaus Institute: “Si può partire da cosa non è. Negli anni si è molto parlato di casa passiva, ma la maggior parte delle volte a sproposito. Non si tratta di edifici realizzati solo in materiali naturali o al contrario iper tecnologici e costosi, anzi. Il maggior costo iniziale, circa il sei per cento, viene ammortizzato grazie al risparmio energetico nel giro di dieci anni”.
Passivhaus è un’abitazione in grado di garantire il benessere termico dei suoi ambienti interni con una minima fonte di riscaldamento, riciclando il calore generato dagli elettrodomestici e dagli abitanti e grazie a fonti di energia alternativa. Una pompa di calore geotermica, immessa in un sistema di ventilazione meccanica, consente inoltre il recupero di energia prodotta all’interno della casa.
Questo può permettere di arrivare a risparmiare il 90% dell’energia che viene in genere consumata all’interno di un’abitazione tradizionale. È stato calcolato, infatti, che una casa passiva ha bisogno in media di 1,5 litri di carburante (equivalenti a circa 15 Kwh) per metro quadrato di superficie abitativa, contro i 10-12 litri consumati da una casa tradizionale per il solo riscaldamento.
Naturalmente, alla base di una casa passiva, oltre all’utilizzo di energie rinnovabili, devono esserci: una corretta esposizione al sole, l’aiuto della ventilazione naturale, il riciclo del calore per scaldare l’acqua e l’utilizzo di facciate fotovoltaiche.
Sistemi di serramenti e monitoraggio economici consentono di contenere i costi della realizzazione di questo genere di case.
Oltre alla progettazione di edifici a partire da zero, però, c’è anche la possibilità di effettuare interventi che limitino la dispersione di energia dai sistemi già esistenti.
In tutto il mondo, le abitazioni di questo genere sono più di 50mila. Quelle certificate “Passivhaus” solo qualche migliaio. In Italia sono invece un centinaio, per lo più situate a Nord, anche se stanno iniziando a diffondersi anche nel resto del Paese.
Per visitare una Passivhaus, si può partecipare a un “Passivhaus Day”. Oppure, si può visitare l’hotel Bonapace di Torbole, in provincia di Trento, il primo certificato in Europa e il secondo al mondo.
(Foto: Maison Passive)