Le barriere coralline stanno morendo e i mari sono sempre più spogliati della loro vita. La colpa potrebbe essere in parte di uno dei diserbanti più utilizzato nelle coltivazioni OGM? Secondo una recente ricerca, sì.
Ancora una volta ci troviamo a parlare di Monsanto e, ancora una volta, non sono buone notizie.
Già in alcuni nostri precedenti articoli abbiamo spiegato come uno degli agenti chimici più venduti della Monsanto sia l’erbicida glifosato, in commercio sotto il nome di Roundup.
Questo diserbante è da sempre venduto come prodotto sicuro. Di sicuro, però, c’è solo il fatto che la Monsanto da questo prodotto guadagna tantissimi soldi: da solo il Roundup ha rappresentato il 27% dell’intero fatturato del 2011. Questo soprattutto perché, secondo molti, i tecnici dell’azienda avrebbero modificato geneticamente i semi, creando un particolare marchio di prodotti resistenti a questo diserbante, il “Roundup Ready”. In questo modo, il glifosato può essere utilizzato sulle coltivazioni, senza danneggiare il raccolto.
Ecco che quindi RoundUp e Roundup Ready sono diventati indispensabili.
Ciò che poco si sa, o viene detto, è che il Roundup è un prodotto notoriamente tossico, per l’uomo, per le piante e per gli animali. Secondo alcune ricerche, sarebbe causa di cancro, morbo di Parkinson, difetti congeniti e infertilità.
Uno studio, pubblicato il 24 gennaio scorso sulla rivista Marine Pollution Bulletin indica, inoltre, che il glifosato è particolarmente resistente alla biodegradazione nell’acqua di mare e potrebbe essere una delle più importanti cause del declino delle barriere coralline.
La Grande barriera corallina, presente in Australia, è la più grande struttura al mondo fatta di organismi viventi. È così grande che è addirittura visibile dallo spazio. Purtroppo, sembra che dal 1985 a oggi questa struttura abbia perso più della metà della sua copertura di corallo.
Questo declino sarebbe stato causato in parte dall’acidificazione degli oceani, in parte dal proliferare di specie predatrici e in altra parte dall’inquinamento.
Purtroppo, nonostante l’accertata responsabilità di alcuni diserbanti chimici nel danneggiare la vita degli organismi marini, il RoundUp non è stato ancora introdotto nei programmi di monitoraggio degli impatti sulle barriere coralline. Questo nonostante in Australia ne vengano vendute quantità esorbitanti.
Nello studio, alcuni ricercatori marini australiani palesano una crescente preoccupazione per la perdita globale di coralli e alghe, sottolineando come la qualità dell’acqua sia particolarmente influenzata dalle estese attività agricole presenti intorno alle scogliere. In particolare, nel periodo che va da novembre a marzo, la pioggia battente favorisce il deflusso di sedimenti in eccesso, nutrienti e pesticidi provenienti dalla terra, nel mare, fino addirittura a 50 chilometri dalla costa.
Al fine di verificare l’impatto del roundup sulla barriera corallina, gli studiosi hanno cercato di quantificare la biodegradazione del glifosato nell’acqua. L’esperimento è stato condotto grazie all’ausilio di un pallone per simulare la popolazione batterica autoctona e le acque marine presenti nella zona costiera attorno alla Grande barriera corallina.
Dagli esperimenti, è risultato che l’emivita (il tempo richiesto per ridurre del 50% la quantità di n determinato prodotto in un liquido) del glifosato era di 47 giorni, in condizioni di scarsa luce e a una temperatura di 25° C; di 267 al buio e a una temperatura d 25° C e di 315 giorni, al buio e a una temperatura di 31° C.
Rispetto alle stime già riportare e inerenti alla biodegradazione del glifosato nelle acque a bassa temperatura e nel suolo, le stime inerenti all’acqua di mare sono decisamente più alte.
Se i nuovi esperimenti riportati dai ricercatori australiani rispecchiano fedelmente le condizioni reali, 315 giorni di persistenza di questa sostanza nel mare potrebbero rendere 63 volte più pericolosa tossicità della sostanza chimica.
Inoltre, l’azione delle acque piovane porterebbe in mare non solo il diserbante, ma anche massicce quantità di sedimenti ai quali il glifosato potrebbe legarsi, inibendo ancora di più la capacità di biodegradazione e potenziando quindi persistenza ed effetti tossici.
Nonostante le rassicurazioni precedenti, fatte sia da parte della Monsanto che dagli organismi di regolamentazione, il glifosato non è assolutamente una sostanza sicura per l’ambiente e per l’uomo e, a quanto risulta dai risultati di questo studio, non è così biodegradabile quanto si pensa.
Il glifosato avvelena tutto quello che tocca tranne le piante geneticamente modificate appositamente per resistergli.
È un prodotto che, come altri, è inserito all’interno del business fiorente degli OGM del quale la Monsanto detiene il monopolio.
Sono diverse le ricerche che dimostrano, ad esempio, che il surfattante POEA in esso contenuto può distruggere le cellule del corpo umano, soprattutto quelle embrionali, della placenta e del cordone ombelicale. O che il suo utilizzo favorisce la proliferazione di funghi che producono l’aflatoxin B1, una sostanza altamente cancerogena.
Secondo un rapporto dell’Ottobre del 2012 dell’Institute of Science in Society, inoltre, il glifosato provocherebbe danni diffusi, compresa la comparsa di erbacce super-resistenti e di agenti patogeni per le piante, minore salute dei raccolti e minori rese, danni involontari a specie animali, da insetti ad anfibi e ad allevamenti di bestiame in genere.
Tutti rischi che, fino ad oggi, sono stati spudoratamente ignorati. Fino a quando non potremo più tornare indietro.
(Foto: laszlo-photo)