Girando per la rete si trova di tutto e di più, in questo caso specifico il tutto è supportato da video e riprese. Nel momento difficile che stiamo vivendo, alcuni insegnanti stanno mostrando iniziativa personale e sorprendente creatività nell’applicazione delle misure sanitarie: in diverse scuole, gli insegnanti hanno istituito un sistema di “gettoni per respirare“. Parliamo della Francia in questo esempio specifico, ma ne potremmo riportare tantissime da ogni dove, Italia ampliamente inclusa.
Un bambino di 7 anni ci spiega il principio:
“Nella mia classe abbiamo diritto a 3 gettoni al giorno per bambino: questi gettoni vengono utilizzati quando dobbiamo uscire e abbassare la maschera per respirare meglio. E tre non sono molti. Quindi al mattino cerco di stare un po ‘attento in modo da averne almeno uno nel pomeriggio. E ancora, sono fortunato perché mio fratello maggiore, che in 2 media, non ha neanche un gettone per respirare.
Una variante è espressa da un altro bambino:
“I 3 gettoni danno il diritto o di uscire per respirare o di andare a fare pipì “.
Ogni bambino imposta quindi una gestione meticolosa e prudente , in particolare per non utilizzare tutti i gettoni al mattino. Tutti i dettagli sono in questo video di 2 minuti.
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La scuola ai tempi del Covid 19
Il tema legato alla scuola per come si sta vivendo è un argomento estremamente delicato. Si parte dal come la si vive, mascherine si mascherine no, DAD si DAD no, presenza alternata o meno, fino a finire alla parte più importante determinata da tutto ciò, la reale difficoltà che tutti i figli, bambini e ragazzi stanno vivendo in questo particolare momento storico.
La scuola ha sempre rappresentato un punto di aggregazione, un confronto tra pari e con gli insegnanti. Tutto ciò sta diventando sempre più difficile, le problematiche degli alunni in termini psicologici aumentano e se ne vedono ampiamente gli effetti. Non possiamo permetterci di dire, per noi va tutto bene, i miei figli sono sereni e ci vanno volentieri, perchè si dovrebbe pensare in termini più ampi più altruistici e soprattutto non guardare sempre e solo alla propria realtà particolare.
Ci ritroviamo in una realtà folle dove c’è un continuo litigio legato a scuola in “presenza si” e “presenza no” tra le famiglie, aziende ed esperti di educazione inizia a serpeggiare una grande preoccupazione legata agli strascichi che l’emergenza sanitaria-ospedaliera comporterà nei prossimi mesi/anni sugli apprendimenti degli studenti, e quindi sul loro futuro, sociale e lavorativo, che rischia di subire danni pesanti.
Sono stati effettuati dei test per verificare i reali progressi fatti appena dopo il primo lockdown e si è riscontrato che gli studenti avevano imparato poco o nulla; e, come era lecito aspettarsi, le carenze maggiori si sono registrate in studenti dal background familiare più svantaggiato ( ricordiamo la situazione-limite delle famiglie senza internet o senza u computer ).
Certo ci sono eccezioni, ma i più si collocano a livelli bassi di risultati. Un allarme nell’allarme se, come è emerso da un’indagine Ipsos-Save The Children, uno studente su due pensa di aver sprecato un anno a causa del virus, e circa 34mila giovani delle superiori, per le assenze prolungate dalle aule, rischiano di abbandonare gli studi.
Psicologia fragile e tentativi di suicidio
I giovani, che da quasi un anno vivono la pandemia, stanno soffrendo. E anche molto. Gli è stato tolto tutto, a molti lo studio in presenza e a quasi la totalità lo sport. Inoltre la maggior difficoltà anche a ritrovarsi con i coetanei, come da abitudine. E parte l’allarme dal Bambin Gesù di Roma: “I giovanissimi si tagliano e tentano il suicidio: mai così tanti”.
A dimostrarlo è un dato condiviso da Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma: i tentativi di suicidio e autolesionismo sono aumentati del 30%. “Dal mese di ottobre ad oggi, quindi con l’inizio della seconda ondata, abbiamo notato un notevole rialzo degli accessi al pronto soccorso con disturbo psichiatrico, nel 90% sono giovani tra i 12 e i 18 anni che hanno cercato di togliersi la vita“- ci spiega -.
“Se nel 2019 gli accessi al pronto soccorso erano stati 274, nel 2020 abbiamo superato quota 300. Mai come in questi mesi, da novembre a oggi, abbiamo avuto il reparto occupato al 100 per cento dei posti disponibili, mentre negli altri anni, di media, eravamo al 70 per cento. Ho avuto per settimane tutti i posti letto occupati da tentativi di suicidio e non mi era mai successo. Al pronto soccorso si registra un ricovero al giorno per ‘attività autolesionistiche’”.
Ecco cosa ne pensa IlMessaggero di questo problema
Continua dicendo: “Sono convinto che sia proprio l’assenza della scuola ad aver ‘pesato’ così tanto sugli adolescenti. Continuiamo a pensare che la scuola sia solo didattica: questo è un errore gravissimo. La scuola non può essere vista come luogo di preparazione al mondo del lavoro ma come luogo di formazione del carattere e della conoscenza. All’interno della scuola si cresce culturalmente, ma non solo. Ci si riscatta, ci si afferma. Anche chi appartiene a contesti umili, tramite la scuola può studiare e riscattarsi. Se la scuola non c’è, l’affermazione di sé passa attraverso valori negativi: le risse per strada, l’autolesionismo, i litigi violenti, con compagni e genitori. I giovani hanno necessità di ribellarsi, ma più riduciamo gli spazi di possibile ‘deragliamento’, gli spazi in cui possono infrangere le regole sotto lo stretto controllo dell’adulto – come appunto, le scuole – più queste ribellioni diventano violente”.
I giovani rappresentano il nostro futuro e devono essere rimessi al centro.