Donne e uomini affetti dal cancro possono sperare in valide alternative alla chemioterapia? Esistono studi che provano a indagare le potenzialità di terapie diverse, meno invasive.
È il caso per esempio di due recenti ricerche, che riguardano il cancro al seno e alla prostata. Scopriamo insieme gli interessanti risultati.
Alternative alla chemioterapia: l’importante ricerca sul cancro al seno
La dottoressa Kathy Albain, specializzata in oncologia presso la Loyola University Chicago Stritch School of Medicine, ha condotto una ricerca utilizzando un test genetico.
Nello specifico, l’esame consiste nell’analisi di 21 geni ricavati dalla biopsia del cancro al seno dei pazienti. Il test serve per determinare quanto tali geni siano attivi. Una volta analizzati, al tumore viene assegnato un punteggio medio di rischio, tra 0 e 100. Più elevato è tale numero, maggiore è la possibilità che il cancro si sviluppi anche in altri organi, diminuendo quindi le chance di sopravvivenza.
Finora è stato dimostrato che pazienti con il punteggio più alto beneficiano della chemioterapia: le probabilità di ricomparsa della malattia sono ridotte e più persone vengono curate.
Precedenti ricerche avevano dimostrato che, in caso di punteggio inferiore o pari a 10, la paziente non aveva bisogno della chemio. Per punteggi più elevati, invece, da 25 in poi, persone malate di cancro al seno beneficiavano del trattamento, malgrado questo avesse qualche rischio.
Cosa succede però quando il test ottiene un punteggio medio, compreso tra 11 e 25?Lo studio della Albain ha provato a rispondere a questa domanda, provando allo stesso tempo a indagare possibili alternative alla chemioterapia.
Il 70% in meno
Lo studio, di recente presentato a Chicago al meeting annuale dell’American Society of ClinicalOncology (Asco), ha coinvolto 10.273 donne, con cancro al seno del tipo più comune e cioè con recettori ormonali positivi, Her2 negativo, e con linfonodi ascellari negativi.
Il 69% delle pazienti analizzate ha ottenuto un punteggio intermedio al test dei 21 geni. A esse, i ricercatori hanno assegnato due tipi diversi di trattamenti.
Un gruppo ha ricevuto la chemioterapia, seguita da una terapia ormonale. L’altro gruppo si è sottoposto invece esclusivamente alla seconda, saltando la chemio. I ricercatori hanno poi analizzato diversi tipi di risultati: se il cancro è stato completamente eliminato, se la malattia è ricomparsa localmente o in altri organi del corpo e il livello di sopravvivenza delle pazienti.
I risultati sono stati piuttosto chiari. Quando il test genetico ottiene un risultato tra 11 e 25, non esistono differenze significative tra pazienti che si sottopongono alla chemioterapia e coloro che invece subiscono solo il trattamento ormonale. Questo è vero soprattutto tra le donne che hanno tra i 50 e i 75 anni di età.
Tra le under 50, invece, i risultati sono stati simili solo quando il test ha dato come responso 15 o meno. Nelle donne più giovani, invece, quando il test genetico ha restituito un risultato compreso tra il 16 e il 25, i benefici sono stati maggiori con il trattamento chemioterapico.
Secondo i ricercatori questo vuol dire che il 70% delle pazienti a cui viene diagnosticata questa forma particolare di cancro al seno, possono in sicurezza ricorrere a cure alternative alla chemioterapia, come la terapia ormonale.
La dottoressa Albain: “Ora diminuiamo la terapia tossica”
Questo il commento della dottoressa Albain sui risultati dello studio:
«Grazie ai risultati di questo studio pionieristico, possiamo ora evitare la chemioterapia per circa il 70 per cento delle pazienti cui è stata diagnosticata la forma più comune di cancro al seno. Per innumerevoli donne e per i loro dottori, i giorni di incertezza sono finiti. Lo studio dovrebbe avere un impatto enorme su dottori e pazienti. Le sue scoperte aumenteranno grandemente il numero di pazienti che possono abbandonare la chemioterapia senza compromettere la propria lotta alla malattia. Stiamo per ridurre una terapia tossica».
Alternative alla chemioterapia: il trattamento con la molecola abiraterone
Un secondo studio pubblicato nei giorni scorsi fa ben sperare riguardo possibili alternative alla chemioterapia. La scoperta arriva dallo studio LATITUDE, realizzato dall’American Society of ClinicalOncology (Asco). Un progetto che ha coinvolto 1.200 uomini colpiti da tumore alla prostata.
I ricercatori in questo caso hanno scelto una terapia “chemio-free”, aggiungendo la molecola abiraterone al trattamento ormonale classico. L’elemento si è dimostrato efficace nel mantenere stabile il tumore.
I risultati? Molto promettenti. Il trattamento con abiraterone ha ridotto il rischio di morte del 36%. Il 50% dei pazienti, dopo 41 mesi di follow up, è ancora in vita.
La ricerca è stata commentata, all’Ansa, da Giuseppe Procopio, Responsabile dell’Unità Oncologia medica genitourinaria dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano:
«Questi dati delineano un cambio di paradigma per il trattamento di uno dei tumori alla prostata più aggressivi.
Questo per due ragioni.Per gli uomini che ricevono una diagnosi di cancro alla prostata in fase avanzata rappresenta un’evoluzione, un nuovo efficace approccio. Il risultato terapeutico che abbiamo osservato in questo studio, dato dall’uso precoce di abiraterone, è comparabile a quello della chemioterapia. La differenza è che abiraterone è un farmaco orale e molto ben tollerato.
Buona notizia per questi pazienti, poiché significa vivere più a lungo con un ridotto impatto di effetti collaterali e una miglior qualità della vita».
In secondo luogo, prosegue Procopio, “non avevamo mai avuto dei dati di così lungo follow up per una terapia ormonale orale alternativa alla chemio. Tali risultati di efficacia ci aprono delle prospettive di cronicizzazione della malattia”.