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Dalle alghe arriva l’alternativa alla plastica. Si chiama agar e potrebbe presto rimpiazzare tutto il packaging del pianeta. Almeno questa è l’intenzione di 3 designer giapponesi.
Agar-agar: una sostanza, ricavata da un’alga giapponese, di cui probabilmente sentirete presto parlare. Soprattutto grazie al progetto di un team di innovatori giapponesi, che vogliono utilizzarla per sostituire completamente la plastica.
Salvando in questo modo l’ambiente e la nostra salute.
Che cos’è
L’agar-agar, o più semplicemente agar, è una sostanza mucillaginosa estratta, attraverso l’ebollizione di acqua calda, dalle alghe marine rodofite, del genere Ahnfeltia e Gelidium. Queste ultime, particolarmente diffuse sulle coste del Pacifico, in Giappone, Cina e California. La sostanza si presenta sotto forma di polvere biancastra, di fettucce, lamelle o blocchi. In genere viene utilizzata nella cucina giapponese e, come addensante, finisce spesso in dolci e gelati di varia provenienza. L’agar è usato anche nella preparazione di lassativi, come eccipiente in alcuni farmaci e per la preparazione di mezzi di colture microbioligche.
È completamente biodegradabile ed è largamente disponibile in natura, specialmente in Giappone.
Una bioplastica da premio
Kosuke Araki, Noriaki Maetani e Akira Muraoka, sono il gruppo di giovani designer giapponesi che ha deciso di trasformare l’Agar in un materiale utile per il packaging. Il loro progetto “AMAM for AGAR Plasticity”, ha immediatamente conquistato il consesso internazionale, vincendo il Grand Prix ai Lexus Design Award 2016.
Un’alternativa alla plastica dunque, che ha già trovato diverse applicazioni: dalle etichette per le bottiglie di vino al packaging per alcuni prodotti alimentari.
I tre designer sono stati particolarmente colpiti dalla malleabilità e versatile dell’agar:
“La sostanza si presenta porosa, con una struttura estremamente leggera, nonostante il volume“, spiegano i designer. “Avendo compreso le peculiarità intrinseche del materiale, abbiamo subito pensato al suo utilizzo come materiale da imballaggio. Le merci sono generalmente spedite avvolte in materiali plastici. Una volta aperte le confezioni, ben presto diventano rifiuti. Per favorire l’utilizzo efficace e sostenibile delle risorse naturali, è diventato indispensabile trovare degli elementi sostitutivi biodegradabili“.
L’agar presentato da AMAM è disponibile in tre varianti. L’originale, 100% in polvere di agar, per realizzare packaging con effetti simili alla carta e al cellophane. Una formulazione di agar e fibre d’alga rossa per realizzare un’imbottitura modellabile. Una polvere composita di agar e conchiglia, per ottenere un’alternativa antibatterica alla plastica dura.
“È una sostanza naturale e quindi le forme geometriche precise sono molto difficili da ottenere“, spiega Kosuke Araki di AMAM. “Ma a volte, queste distorsioni possono aggiungere fascino al risultato finale“.
Alice Rawsthorm, uno dei membri della giuria dei Lexus Award, ha spiegato le ragioni della scelta di AMAM. “Il loro è un esperimento coraggioso e ambizioso“, spiega. “AMAM affronta uno dei maggiori problemi d’inquinamento del nostro tempo. I designer hanno fatto enormi passi in avanti durante gli ultimi mesi, in particolare nell’ideazione di una vasta gamma di possibili applicazioni pratiche per il materiale“.
Sostituire tutto il packaging del mondo
I tre designer di AMAm hanno progetti ambiziosi: “Il prossimo passo sarà quello di industrializzare il materiale. In cinque anni, vogliamo che tutto il packaging usato nelle spedizioni utilizzi l’agar. E poi ancora: le buste di plastica, le penne, o anche tutta la plastica…“, conclude Araki.
Il packaging, come accennato, rappresenta un problema enorme per l’ecosistema del nostro pianeta. Nel 2013, nel’UE27, le confezioni dei prodotti sono state ‘trasformate’ in circa 80 milioni di tonnellate di spazzatura. La plastica rappresentava, sempre nello stesso anno, il 19% del totale, pari a un volume di circa 15 milioni di tonnellate. Secondo alcune stime, due milioni di tonnellate di packaging buttato via producono la stessa quantità di gas serra di circa 860mila automobili.
Ecco perché la ricerca sulla bioplastica diventa sempre più necessaria.