Ava Winery, una startup americana, ha trovato il modo di trasformare l’acqua in vino sintetico nel giro di pochi minuti. Senza utilizzare nemmeno un chicco d’uva. Ma dove va a finire la qualità?
Si chiama Ava Winery, è una startup con sede a San Francisco fondata da Mardonn Chua e Alec Lee. I due co-fondatori, amici, non potendosi permettere una bottiglia di prestigioso Chardonnay californiano hanno pensato bene di crearne una versione economica. Come? Producendo in laboratorio un vino sintetico.
Per assurdo che possa sembrare, l’azienda sta continuando a lavorarci. E i primi prodotti potrebbero presto arrivare nei supermercati…
Ava Winery e il vino sintetico
La startup è stata fondata nel 2015 con l’intervento di un biotecnologo e di un sommelier. Negli ultimi due anni, il team si è preoccupato di sviluppare un processo per ricreare il vino “molecola dopo molecola“. Come? Utilizzando sapori artificiali, zuccheri, acidi ed etanolo.
Stando a quanto racconta uno dei due co-fondatori, Alec Lee, tutto è cominciato in un ristorante di San Francisco.
“In una vetrina accostata alla parete, c’era una bottiglia di Chateau Montelena del 1973. L’etichetta riportava il prezzo: 10mila dollari. Ovviamente non potevamo permettercela. Ma ci siamo chiesti: e se potessimo identificare tutti i componenti chimici e ricreare noi stessi quello stesso prodotto? Lavoravamo già in un laboratorio. Avevamo quindi la possibilità di rendere quell’esperienza accessibile a tutti”.
Quella bottiglia di Chateau Montelena era quasi un reperto storico. Questo Chardonnay californiano, infatti, è riuscito a battere i migliori ‘omologhi’ francesi della Borgogna. Nel 1976, durante una competizione internazionale a Parigi, il Montelena batteva il vino francese a una degustazione. Da quel momento in poi, i vini californiani non sono stati più misconosciuti.
Quello che si propongono i due, raccontando questa storia, appare quindi ancora più assurdo. Come può una lavorazione tipica, storica, essere riprodotta in appena 15 minuti?
Ma il vino sintetico è buono?
La risposta è ovvia. Ma c’è chi ha voluto provare. In questo video di New Scientist, due volontari mettono a confronto un Moscato d’Asti originale con la versione sintetica di Ava Winery. Il confronto è imbarazzante:
“This is very creepy“, questo qui è molto inquietante. È questa la reazione dei due all’assaggio del vino sintetico. Il suo essere ‘finto’ è rivelato già dall’odore: sa di plastica, dicono.
Malgrado ciò, i due co-fondatori hanno annunciato che porteranno sul mercato il loro Moscato d’Asti entro la fine di quest’anno. Il nostro Moscato vero, è bene ricordarlo, ha una tradizione antichissima. Già nel 1967 veniva riconosciuto come specialità DOCG. La prima delimitazione di zona per la sua produzione è stata stabilita nel 1932.
Ora i due startupper di San Francisco sperano di poter realizzare la propria versione entro 15 minuti. Lo step successivo? Ricopiare anche il celebre Dom Pérignon, uno degli champagne più famosi e pregiati al mondo.
Che dire: speriamo che una volta commercializzato, sia chiaramente indicato in etichetta che si tratta di “vino” senza nemmeno un acino d’uva. E soprattutto che il mercato seppellisca il prodotto con una sonora risata…
Sia quello che sia , ma non si potrà mai chiamare vino in etichetta
solo a vedere il primo minuto ho riconosciuto il vino fake