di Costanza Vascotto
Oggigiorno sentiamo sempre più la necessità di ritornare alle nostre origini di raccoglitori di erbe spontanee, ai tempi in cui il genere umano sopravviveva con quello che la natura donava ad esso.
Penso che tutti voi abbiate avuto modo di osservare delle erbeche crescevano spontaneamente in un determinato territorio ed ambiente, come un prato oppure semplicemente camminando lungo i bordi delle strade, dei sentieri di campagna, di montagna e nei campi incolti.
Io stessa, come giardiniera ed orticultrice, ho sempre ammirato la loro costanza nel crescere e svilupparsi e mi ha ovviamente incuriosito saperne la storia, dai loro nomi agli eventuali usi e proprietà.
Agli albori della civiltà umana queste erbe spontanee rivestivano un’importanza considerevole per la sopravvivenza del genere umano fin dal paleolitico. Gli antichi sapevano riconoscerle, ne conoscevano i nomi e si tramandavano questo sapere oralmente attraverso la pratica della “raccolta di erbe selvatiche”.
Ecco che agli inizi del XXI secolo riassistiamo ad un dolce ritorno ai sapori antichi con le erbe selvatiche, che diventano il centro di un senso di appartenenza ad una comunità non solo più contadina ma anche urbana, sempre più bisognosa della natura. Oggi l’attività di raccolta di erbe selvatiche è riassumibile nella parola inglese di “foraging” (libro consigliato: “Imparare l’Arte del Foraging” di Valeria Margherita Mosca, Ed. Giunti 2019).
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Foraging: “rinascita della fitoalimurgia”
In primavera ed in estate con la “rinascita” della natura viene proprio voglia di farsi una scorpacciata di erbe selvatiche. Recentemente, dopo mesi di quarantena, dovuti alla pandemia da coronavirus, si è sentito fortemente il richiamo verso la natura per liberarsi dello stress accumulato. L’uomo, come è gia’ successo nel passato, si è ritrovato di fronte ad unaspecie di “carestia” di cibo che ha scosso la nostra società moderna.
Cosi’, ritorna in auge il termine di “fitoalimurgia”,parola che deriva dalla contrazione del latino “alimenta urgentia”, cioè nutrimento in caso di necessità, con l’aggiunta del prefisso fito che significa pianta.
Il termine di alimurgia era stato coniato da Giovanni Targioni Tozzetti nel 1767 per indicare la scienza che studia l’uso alimentare delle piante spontanee commestibili (per un maggiore approfondimento si consiglia anche il libro “Phytoalimurgia Pedemontana– come alimentarsi con le piante selvatiche”, di Oreste Mattirolo, Bruno Gallino, Giorgio Pallavicini, Ed. Blu Edizioni 2017).
Erbe selvatiche alimurgiche: la bardana minore
Caratteristiche botaniche: come identificarla
Il nome botanico della bardana minore è Arctium minus [(Hill) Bernh,1800]. Questa pianta selvatica appartiene alla famiglia botanica delle Asteraceae, assieme ad altre piante molto simili come il cardo e il carciofo. Cresce in luoghi erbosi incolti, in ambienti ruderali, nei fossi, lungo i margini di sentieri e strade.
Arctium minus è una pianta erbacea, biennale (nel primo anno si formano le foglie, nel secondo i fiori), alta 50-150 cm, con fusti eretti.
La sua radice è carnosa, biancastra (all’esterno di colore più scuro), di tipo fittonante, che penetra profondamente nel terreno.
Le foglie sono intere ed alterne: le basali sono grandi, ovali-cuoriformi, a margine generalmente ondulato con la lamina superiore di colore verde scuro e bianco-ragnatelosa di sotto, mentre quelle del fusto hanno la stessa forma ma sono più piccole.
I fiori sono costituiti da capolini sferici riuniti in corimbi, come è tipico in questa famiglia di piante. Essi sono di colore rosso-porporino, riuniti in capolini muniti di squame con apice uncinato. Quando si seccano, diventano come dei piccoli carciofi uncinati.
E’ simile -per morfologia e d’impiego- alla bardana maggiore (Arctium lappa); si distingue da quest’ultima, dal punto di vista botanico, per la dimensione dei capolini e delle foglie ma soprattutto per i piccioli cavi, che non contengono midollo come nella bardana maggiore (https://www.actaplantarum.org/flora/flora_info.php?id=860&pid=-1&p=1).
Le proprieta’ benefiche della bardana
La bardana è veramente miracolosa per drenare ed eliminare le tossine dall’organismo grazie alla sua attività detossificante. In tal senso, questa erba favorisce l’efficienza del fegato.
E’ particolarmente utilizzata per le sue proprietà antisettiche, depurative, diuretiche, ipoglicemizzantied ipocolesterolemizzanti. La gran parte di queste proprietà deriva dai costituenti chimici presenti nella radice, che è la parte più ricercata di questa pianta. In ambito erboristico la radice viene venduta sotto forma di prodotto essiccato, da cui si possono ricavare decotti, impacchi, tinture madri ed estratti.
La radice contiene diversi principi attivi tra cui composti polifenolici, come l’ acido clorogenico, una fibra solubile,comel’inulina, poi principi amari, sostanze tanniche e resinose, mucillagini, vitamine e sali minerali (in particolare calcio, magnesio, potassio e fosforo).
L’inulina è il costituente più importante in quanto svolge un’azione purificante e drenante del sangue, facilitando cosi’ l’espulsione delle tossine. Riporta alla normalità la flora batterica intestinale danneggiata da antibiotici, farmaci, vaccini, stress, infezioni ed altro. Un’altra importante azione dell’inulina è quella di regolare il livello di glucosio nel sangue cosi’ da non provocare picchi glicemici ed insulinici.
Come la bardana maggiore, anche quella minore è ideale per la cura della pelle e dei capelli (in particolare per l’acne e foruncoli, dermatosi, dermatiti, eczemi, seborrea e forfora) grazie alle altre sue proprietà antiacneiche, antibiotiche, antinfiammatorie cutanee, antimicotiche, antiseborroiche (ipolifenoli ed acidi alcolici, contenuti nella radice, inibiscono i microbi della pelle).
Scopriamo l’uso della bardana in cucina. Una ricetta tradizionale.
Questa erba selvatica e’ già stata riconosciuta da testi di alimurgia come una gustosa e salutare verdura estiva. Ad esempio in Giappone la bardana viene vista come un ortaggio pregiato.
Della bardana si può utilizzare quasi tutto: dalla radice, ai giovani getti delle foglie, alle foglie più giovani, ai piccioli fogliari ed ai semi.
In cucina ci si può proprio sbizzarrire con questa erba selvatica, dalle radici spellate e bollite ai piccioli e getti giovani lessati e fritti.
Le radici vengono raccolte nell’autunno del primo anno di vegetazione o nella primavera di quello successivo, prima che si formi lo scapo fiorale. Anche le foglie si prelevano in maggio-luglio prima della fioritura, quando sono ancora tenere. Durante il secondo anno il gambo può anche venire raccolto.
Generalmente le foglie primaverili vengono mangiate sia crude nelle insalate miste che cotte, lessate con olio e limone o burro, anche con altre verdure a seconda della ricetta. Trovano impiego anche per avvolgere ripieni di carne, pane, spezie ed altre erbe.
I giovani getti si mangiano spesso come gli asparagi. I piccioli possono venire gratinati, lessati o conditi con olio e formaggio. Anche i gambi floreali sono molto gustosi. Vengono tagliati poco prima della fioritura e poi lessati e conditi a piacere. Sia i giovani getti che i piccioli e le costole delle foglie basali sono davvero deliziosi nelle frittate, nelle zuppe e minestre o conditi con olio e formaggio grattugiato.
Invece la radice attrae gli amanti di gusti particolari. Essa presenta un sapore misto, tra dolce e amaro (il gusto è molto simile a quello del topinambur). Dopo averla raccolta, bisogna lavarla e liberarla dalle radichette laterali. Possiamo macinarla e sottoporla a tostatura per preparare miscele, considerate anche come sostitutive del caffè.
Se viene consumata fresca, si può cuocerla e servirla in insalata condita all’agro, con olio, sale ed aceto o limone. Oppure può venire finemente grattugiata per accompagnare altri piatti a base di verdure, per esempio con carote crude, o aggiunta a zuppe di verdure.
Procedimento ricetta con bardana
Una ricetta tradizionale con cui questa erba selvatica s’identifica è la preparazione di crocchette con la bardana, che possono essere un’alternativa salutare a quelle a base di patate. E’ da provare! Per tale ricetta si utilizzano i seguenti ingredienti: 6 pugni di radici fresche di bardana (circa 400 gr), 1 cipolla, prezzemolo tritato, 1 uovo, pangrattato, 100 gr di burro vegetale, olio evo, sale e pepe.
Si procede pulendo accuratamente le radici, che vengono poi sbucciate e tagliate a fette.
In una pentola molto capiente le radici vengono immerse con acqua fredda (circa 2 litri) che si porta all’ebollizione. Poi si aggiunge il sale e si abbassa il fuoco lasciando cuocere per altri 25 minuti finchè le radici non diventano tenere e cotte.
Le radici vengono scolate e si passano al passaverdura aromatizzandole con sale e pepe.
Nel frattempo si procede a rosolare nel burro la cipolla finemente tritata in un tegame finchè non diventa dorata. Questo soffritto viene fatto raffreddare e si unisce al passato di bardana. Si mescola il tutto e si aggiunge al composto anche il pangrattato, l’uovo battuto e il prezzemolo fresco.
Quando il composto è omogeneo e ben impastato, si formano delle polpettine o medaglioni di media grandezza che vengono ripassate nel pangrattato.
Alla fine, queste polpettine vengono fritte nell’olio ben caldo. Si dovrebbero ottenere delle crocchette davvero gustose e croccanti. E buon appetito!