Indonesia: testimonianza
Il mio orologio segna le nove del mattino e sto correndo su una moto-taxi diretta al Doris Sylvanus General Hospital a Palangkaraya, nel Kalimantan centrale, Indonesia. L’aria è densa di fumo a causa dei molti incendi che bruciano nelle aree forestali vicine. Lo so bene, perché ieri notte ero fuori per fotografare e riprendere le fiamme.
Quando arrivo in ospedale, mi dirigo verso la “Oxygen House” – la casa dell’ossigeno, un edificio dove trovano assistenza le persone che soffrono di difficoltà respiratorie a causa della nube di cenere e fumo che si solleva dagli incendi e che hanno un disperato bisogno di aria pulita. La mattinata è relativamente tranquilla, ma secondo l’infermiera di turno, la maggior parte dei pazienti arriverà solo dopo pranzo o comunque dopo l’orario di lavoro.
Dopo aver atteso per circa un’ora, una coppia, marito e moglie, compaiono improvvisamente insieme ai loro due bambini. La madre sembra molto preoccupata e in ansia, e stringe tra le braccia il suo bambino piccolo. L’infermiera li porta subito in una stanza speciale dove viene somministrato ossigeno a bambini e neonati. Anche il padre ha bisogno di ossigeno e viene portato in una stanza separata, per gli adulti.
Mi è permesso di raggiungere la madre e il suo bambino. Il piccolo si chiama Rafa, e ha solo 50 giorni. Sua madre mi dice che durante la notte la loro casa è stata inghiottita dal fumo denso che si alzava dagli incendi circostanti e che i piccoli polmoni di Rafa non hanno retto.
Chiaramente traumatizzato, disorientato e infelice, il bimbo deve sopportare una piccola pipa inserita nel naso, in modo da poter ricevere un rifornimento vitale di ossigeno. Ma c’è un problema: nonostante tutti gli sforzi dell’infermiera, sembra che qualcosa non vada: Rafa dev’ essere portato di corsa al pronto soccorso.
Al pronto soccorso, la situazione si fa più tesa nel momento in cui Rafa inizia a piangere forte – in modo quasi incontrollabile – quando gli posizionano una mascherina sul naso e sulla bocca per liberare le cavità nasali. È una scena difficile da guardare. Dopo 15 minuti di trattamento, gli occhi di Rafa iniziano a chiudersi, mentre si appoggia sulle ginocchia di sua madre – silenzioso e più rilassato, ma con un tubo per l’ossigeno che gli sporge dal naso.
Quando alla fine Rafa si addormenta, mi allontano dalla famiglia e assisto ad un momento meraviglioso: quello in cui arriva la sua sorellina di cinque anni e inizia a baciarlo. È questo il momento in cui le mie emozioni hanno preso il sopravvento. Comincio a sentire che i miei occhi si inumidiscono e penso alle mie figlie, che hanno più o meno la stessa età, ma che vivono al sicuro, lontano da qui. Immagino come mi sentirei se io e la mia famiglia fossimo seduti in questo pronto soccorso. E se fossero state le mie figlie a soffrire le conseguenze di questi incendi?
Ho assistito in prima persona a come le famiglie e le comunità, disperate, provano ad affrontare questi incendi e, cosa ancor più scioccante, ho visto come le persone vengono lasciate a sé stesse mentre cercano le mascherine e le protezioni di cui hanno bisogno per sé e per i loro figli. Gli incendi che anche quest’anno stanno divorando l’Indonesia sono i peggiori dal 2015, eppure il governo indonesiano non ha ancora revocato nessuna licenza o emesso alcuna sanzione nei confronti delle aziende legate alla produzione di olio di palma.
*Jurnasyanto Sukarno, Photo Editor di Greenpeace Southeast Asia, Indonesia
Situazione reale
- Quasi 30.000 persone nella sola Riau hanno sofferto di infezioni respiratorie acute durante gli incendi di quest’anno e quasi 310.000 sono state colpite da irritazione agli occhi e alla pelle, vertigini e vomito.
- Tra quelli che segnalano sintomi preoccupanti ci sono donne in gravidanza, una delle quali ha dichiarato di aver abortito cinque anni prima durante una crisi di foschia simile.
- Gli incendi bruciano quasi ogni anno, emettendo enormi quantità di gas serra che hanno contribuito a mantenere l’Indonesia tra i principali inquinatori di carbonio in tutto il mondo e diffondendo foschia fino a Singapore, Malesia e Thailandia.
Fonte Greenpeace