La Vitamina C è un elemento molto importante per il nostro organismo: è un potente antiossidante, contrasta l’azione dei radicali liberi, possiede un’azione antiemorragica ed è importantissima nella riparazione dei tessuti del nostro corpo e nella produzione della norepinefrina, un neurotrasmettitore che aiuta a controllare gli impieghi del flusso di sangue e il rilascio di glucosio. E naturalmente possiamo trovarla nelle nostre arance italiane.
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Ma qual è il corretto fabbisogno giornaliero di Vitamina C?
A questa domanda ha dato una risposta l’Efsa, l’Agenzia della Sicurezza Alimentare Europea, che ha pubblicato un rapporto sul quantitativo di vitamina C da assumere quotidianamente.
Secondo l’Agenzia, basterebbero 90 mg di acido ascorbico al giorno (l’equivalente di un’arancia media), per poter usufruire di tutti i benefici della vitamina.
Stando a quanto affermato da Confagricoltura, quindi: “Basta una bella spremuta di arancia al giorno, un prodotto coltivato dai nostri agricoltori e donato dalla madre Terra, e si può assumere l’apporto medio giornaliero di vitamina C per stare bene”.
Ma quando sentiamo parlare di “produzione di arance in Italia” inevitabilmente si dipinge dinanzi a noi un quadro fatto di contraddizioni e di sprechi.
Sappiamo, ad esempio, che ogni anno in Italia vanno al macero quintali di arance. Lasciate marcire sugli alberi o distrutte. Poi, il paradosso: girando nei supermercati sugli scaffali si trovano prodotti che non hanno nemmeno lontanamente i profumi e i sapori, ad esempio, dei tarocchi siciliani. Questo perché, per gran parte, sono prodotti importati da paesi esteri.
La produzione agricola italiana di arance
Ciò che spesso dimentichiamo è che l’Italia ha nella sua produzione agricola delle eccellenze che leggi di mercato sempre più feroci e i giochi subdoli dei pochi che curano i propri interessi ci stanno portando via.
Prendiamo ad esempio la situazione delle arance.
L’Italia è un importante produttore di agrumi: vengono raccolte circa 3,6 milioni di tonnellate di agrumi su un’area di circa 170mila ettari. I produttori, però, si trovano ad affrontare la concorrenza crescente di Brasile, Cina, Stati Uniti, Messico e Spagna.
Esattamente un anno fa, il primo ottobre, l’Unione Europea eliminava il 55% delle tariffe doganali sui prodotti agricoli e di pesca provenienti dal Marocco. All’epoca dei fatti, diverse associazioni di categoria protestarono a causa del timore che quegli agrumi venduti a prezzi ridicoli mettessero in grave difficoltà le nostre eccellenze. Le aziende ortofrutticole si sono così trovate a competere con la produzione di un Paese nel quale condizioni e costi del lavoro sono di pochi euro al giorno.
Quando poi il prodotto finito viene pagato con prezzi ridicoli, raccogliere quelle primizie diventa quasi una scelta coraggiosa.
Sprechi e prezzi contraddittori
Su un articolo de Il Sole 24 Ore redatto in occasione dei fatti di Rosarno accaduti nel 2010, si legge, ad esempio, come le arance venissero pagate in media 27 centesimi al chilo nelle campagne e appena 3-4 centesimi al chilo per quelle destinate alla produzione di succo.
Questo anche perché manca l’obbligo di indicare l’origine nel succo delle bevande e quindi è più semplice far passare per Made in Italy un prodotto meno costoso e che non viene dalle nostre terre. I dati sono in riferimento a un’analisi della Coldiretti fatta sulla scia dei tafferugli accaduti nella cittadina calabrese.
Ci rendiamo conto come un discorso del genere sia di una complessità tale da non poter essere risolto in un unico articolo. Il nostro vuole solo essere uno spunto di riflessione su una situazione che ha del paradossale: quintali di prodotti di eccellenza letteralmente lasciati marcire e gran parte del fabbisogno italiano coperto invece dall’importazione.
Parte delle colpe derivano dalle tariffe per il succo pagate dalle grandi ditte che non sono eque. Su di un articolo comparso su Internazionale, Pietro Molinaro, della Coldiretti Calabria, commentava così un anno fa, riferendosi alle produzioni del meridione: “Questa zona si trova di fronte a un grave problema: le tariffe pagate dalle grandi ditte per il succo non sono eque. E questo costringe i piccoli stabilimenti alimentari della zona, quelli che producono il concentrato, a chiedere prezzi bassissimi per le materie prime”.
La concorrenza estera e i prezzi bassi imposti dalle grandi aziende hanno reso la coltivazione di arance sempre meno conveniente per molti agricoltori che vengono letteralmente “spremuti”.
Ma non è solo questo, naturalmente. Sono le mani della malavita, sono le frodi stesse, le cosiddette “arance di carta” e tanti altri tasselli che rendono difficile ai produttori di arance italiani onesti di sopravvivere in un sistema del genere.
Per usufruire dei benefici della vitamina C basta veramente poco, sarebbe ancora più bello, però, se potessimo farlo senza che ci vengano posti dinanzi dei paradossi così grandi.
(Foto: Utente Flickr Thor)