Una stufa pirolitica per aiutare le comunità in Africa a riscaldarsi, cucinare e fertilizzare i terreni, senza sviluppare fumo e preservando le foreste: è questo l’obiettivo di Elsa Stove, la stufa progettata dall’Università di Udine.
Elsa Stove è una stufa pirolitica, brevettata dall’Università di Udine che ha come caratteristiche principali la capacità di bruciare, senza sviluppare fumo, producendo un alto rendimento energetico a zero emissioni nocive. Non solo, la struttura è alimentata da fogliame secco, residui di potature e altri materiali organici non legnosi. Il suo particolare procedimento di combustione, inoltre, gli consente di generare come materiale di scarto carbone vegetale che servirà a concimare i campi, preservando la salute della foresta amazzonica.
La stufa rientra all’interno del progetto Bebi (Benefici agricoli e ambientali derivanti dall’utilizzo del carbone vegetale nei Paesi africani), coordinato dal professor Alessandro Peressotti del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali dell’Università di Udine e finanziato dall’Unione Europea, all’interno del programma “ACP Science and Technology Programme”.
L’obiettivo è di promuovere l’uso di questa stufa all’interno dei villaggi africani, incentivando l’impiego del carbone vegetale (biochar) nei terreni, per aumentare la produttività agricola dei Paesi più poveri, preservando le foreste.
Secondo alcuni dati, infatti, metà della popolazione mondiale cucina bruciando legna, carbone o letame, con la conseguente produzione di emissioni altamente nocive per la salute delle persone.
Grazie alla progettazione di queste stufe, il fabbisogno di legna viene ridotto e con esso la deforestazione che, ogni anno, interessa 13 milioni di ettari. Si pensa che carbonizzando tutti i residui agricoli e forestali del mondo, si riuscirebbe a stoccare 160 milioni di tonnellate di carbonio l’anno, ossia il 5% del carbonio che si accumula in atmosfera a causa delle attività dell’uomo.
Il carbone vegetale di scarto prodotto dalla stufa è un carbone molto particolare, perché ha delle caratteristiche intrinseche che lo rendono molto fertilizzante. Secondo gli addetti ai lavori, infatti, il biochar se distribuito sulla terra può anche raddoppiare l’attività agricola, aumentandone la ritenzione di acqua e di sostanze nutritive che rimangono a disposizione delle piante per più tempo. Inoltre, nutrendo la terra di carbone vegetale, affermano gli studiosi, è possibile stoccare carbonio, immagazzinarlo cioè nel suolo, invece di farlo tornare in atmosfera sotto forma di CO2.
Per Peressotti sono indubbi i vantaggi dell’adozione di questo fornello: “l’adozione su larga scala di questo fornello da cucina che brucia biomasse vegetali e non legno disincentiva anche l’abbattimento delle foreste: fenomeno che, come sappiamo, favorisce l’effetto serra e la desertificazione”. Oltre naturalmente all’importantissima riduzione di produzione di monossido di carbonio e particolato, due delle cause principali di emissioni inquinanti pericolose nelle abitazioni.
Inizialmente, sono state realizzate un centinaio di stufe, distribuite in alcuni villaggi dell’Africa Occidentale, con l’obiettivo di rendere indipendenti le comunità locali nella produzione. Per poter diffondere l’utilizzo di questo strumento, afferma il professor Peressotti, è stato essenziale collaborare con le Ong, sia per comprendere i bisogni reali delle popolazioni che per aiutarle a modificare una pratica di cucina millenaria basata sull’uso della legna.
Il progetto Bebi si è concluso a novembre, ma l’Università di Udine ha intenzione di continuare il suo impegno in Africa con un altro progetto: BiocharPlus. L’obiettivo è di sviluppare pirolizzatori non solo per uso domestico, ma anche per produrre energia elettrica da canne e residui agricoli nelle aree remote che ne sono sprovviste.
(Foto: www.bebiproject.org)