Disastro ambientale in Val D’Agri. L’Eni ammette lo sversamento di greggio sul territorio. Tavolo tecnico al governo, tra stime dei danni, responsabilità e misure d’intervento. E ora si scoprono anche i rifiuti tossici illegali
Sono ben 400 le tonnellate di petrolio sversate dal Centro oli della Val d’Agri tra agosto e novembre 2016, per un’area contaminata di 6000 metri quadri. La perdita non era al serbatoio A del Cova di Viggiano, come si pensava finora, ma a quello D. Eni ammette il disastro ambientale che ha provocato al tavolo tecnico voluto dal Governo nel 2017. Un incontro istituzionale a cui hanno partecipato la Regione Basilicata, l’Arpa locale e Unmig per conto del ministero dello Sviluppo Economico.
Erano mesi che gli abitanti del luogo sostenevano la presenza di un problema ambientale forte. Eppure, fioccavano le rassicurazioni da più fronti. Ora l’ammissione davanti all’evidenza di un disastro ambientale dai costi altissimi.
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Le misure d’intervento al disastro ambientale
Eni aveva assicurato che entro la fine del mese di maggio l’intera area interessata sarebbe stata messa in sicurezza. 210 tonnellate di greggio fuoriuscito sarebbero furono effettivamente recuperate. Ma le rassicurazioni dell’azienda evidentemente non sarebbero bastate
La Regione Basilicata aveva chiesto, tramite delibera, la sospensione delle attività del Cova. Una richiesta accolta: l’impianto è fermo dal 18 aprile, a fronte “delle inadempienze e dei ritardi” rispetto alle prescrizioni regionali. Il Ministero dell’Ambiente nel frattempo in un comunicato dichiara che “Ispra e Arpa Basilicata condurranno nei prossimi giorni, con la piena disponibilità di Eni, un’ispezione straordinaria nel Centro Olio Val d’Agri di Viggiano per verificare le azioni poste in essere dall’azienda per far fronte alla situazione di emergenza che si è creata a seguito dello sversamento di idrocarburi”.
Una nuova Terra dei Fuochi con tonnellate di rifiuti tossici illegali
Accanto all’ingente sversamento di sostanze petrolifere, oggi si parla di rifiuti pericolosi smaltiti irregolarmente, per una portata di 854mila tonnellate. In 16 anni, sono stati contaminati 26mila metri quadri su un’area di 180mila.
L’attività di estrazione petrolifera, produce ingenti quantitativi di metildietanolammina e glicole trietilenico. Sostanze inquinanti pericolose, che venivano invece qualificate, scrive la DNA, in maniera del tutto arbitraria come rifiuti non pericolosi. Tutto ciò ha permesso ai dirigenti ENI di far smaltire ingenti quantità di reflui a costi notevolmente inferiori: solo 33,01 euro a tonnellata contro i 40-90 euro a tonnellata previsti dalle aziende del settore.
L’attività illecita ha permesso di far risparmiare alla multinazionale, tra i 34 e i 76 milioni di euro in un anno. L’Eni contesta sia l’allarme sanitario che il fatto di aver rilasciato inquinanti nell’atmosfera, stabilendo che le emissioni sono sempre state nella norma.
La mancanza di controlli
Di fronte al disastro scatta la ricerca delle responsabilità. C’è chi addita l’azienda per non aver preso provvedimenti adeguati e tempestivi. Altri polemizzano sugli organi di vigilanza, che sarebbero stati inappropriati. Angelo Bonelli dei Verdi dichiara a ilfattoquotidiano.it:
“Quattrocento tonnellate è la cifra di un disastro ambientale, ma anche dell’assenza di controllo”. E aggiunge “mi piacerebbe sapere dal ministero dell’Ambiente perché non c’è un sistema di controllo”.
Dello stesso avviso il radicale Maurizio Bolognetti, che denuncia “responsabilità trasversali e stratificate negli anni da parte di chi doveva, ma non ha vigilato”.
Il personale indagato per omessi controlli
Lo scorso aprile per lo sversamento del petrolio è stato arrestato Enrico Trovato dirigente ENI che all’epoca dei fatti, era responsabile dello stabilimento, a inizio maggio c’è stata la sospensione per otto mesi dall’incarico di pubblici ufficiali per cinque membri del CTR (Comitato Tecnico Regionale) della Basilicata: Mario De Bona (Vigili del Fuoco), Saverio Laurenza (Vigili del Fuoco), Mariella Divietri (Arpab), Giovambattista Vaccaro (inail) e Antonella Amelina (comune di Viggiano).
“A loro spettava il compito di controllare, sotto il profilo della sicurezza e dei rischi ambientali, l’attività estrattiva dell’Eni”.
Ecco quanto riporta la Direzione Nazionale Antimafia: “la dirigenza ENI tra il 2013 e il 2014 ha sviluppato un ingiusto profitto, attraverso il risparmio sui costi di smaltimento degli scarti di lavorazione liquidi, prodotti dall’impianto di Viggiano, dando vita a un’attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, servendosi di una complessa organizzazione imprenditoriale”.
Scarica il PDF della Direzione Nazionale Antimafia
Disastro ambientale: la stima dei danni
Mentre il senatore del Movimento 5 stelle Vito Petrocelli parla di “falda acquifera sicuramente già inquinata”, su radiolaser.it Leonardo Giordano, Coordinatore Provinciale di Matera del Movimento Nazionale per la Sovranità prova con un esempio a far intendere l’enormità e la gravità del danno arrecato dallo sversamento.
Spiega infatti che lo sversamento di benzina della ex Esso di Montalbano Jonico ha prodotto valori di benzene superiori di 280 volte ai limiti tollerati per legge. Lì sono stati necessari 200mila euro per la bonifica, che richiederà almeno 42 mesi. Quindi, se una piccola stazione di benzina ha prodotto tali danni e tali costi, quale sarà il prezzo ambientale e monetario di uno sversamento di 400 tonnellate e di 854mila tonnellate di rifiuti tossici?
L’indagine epidemiologica ha mostrato eccessi di mortalità per tutte le cause, per malattie del sistema circolatorio, per tumori del polmone e dello stomaco.
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Sarebbe interessante far sorvolare qualche Drone sull’area devastata. Potremmo renderci conto direttamente dei danni ambientali. Invece di aspettare quel che ci diranno.
Sarebbe un buon uso della tecnologia al servizio di tutti.