Lo scorso anno abbiamo ritrovato dopo anni lo scrittore-skipper di “Adesso Basta ” e ” Avanti Tutta ” dopo il termine del suo lungo viaggio culturale a bordo di “Mediterranea”, alla ricerca del “nuovo uomo mediterraneo”.
Da questa notevole esperienza è nato ” Rapsodia Mediterranea“, un’ispirata narrazione delle tappe tra le varie culture del Mediterraneo nel corso di 6 anni. Ecco cosa ci dice oggi Simone Perotti, a poche settimane dall’uscita del suo nuovo romanzo ” I momenti buoni “.
Ciao Simone e bentrovato.
Che momento stai vivendo e dove ti troviamo tra Liguria, Grecia, Italia, Mediterraneo?
Sono in Val di Vara, dietro La Spezia. Sono rientrato a fine settembre dopo aver passato sette mesi sull’isola greca dal 4 marzo. Dovevo restarci fino a metà maggio, ma poi col caos sanitario che è scoppiato, sono rimasto lì.
La pandemia: siamo ad un anno ormai dall’essere entrati in questo tunnel. Che idea ti sei fatto e cosa provi?
Una grande sorpresa. Sapevo che siamo un civiltà psicologicamente e culturalmente (dunque relazionalmente) in difficoltà. Non pensavo però che fossimo così allo sbando. Quello che ho visto accadere in questo anno rivela di noi cose molto preoccupanti.
Ci sembri critico verso gli atteggiamenti estremi di chi vede tutto nero o tutto bianco senza cogliere le sfumature. E’ così?
Be’, non mi risulta che siano molte le cose che accadono all’uomo che possono essere ritenute solo tragiche o solo ideali. Osservare che la reazione della maggior parte della gente è quella della rimozione del problema (negandolo) oppure della psicosi (enfatizzandolo) mi fa capire molte cose sullo stato di salute interiore di tutti noi. C’è un problema, è anche serio, bisogna prendere contromisure e continuare a vivere. Lo dico da principio. Chi lo ha negato e chi se ne è fatto atterrire ha avuto una reazione psicologica molto simile.
Dopotutto, anche con l’aiuto di alcune strategie mediatiche, dicotomizzare il pubblico su posizioni contrapposte rispetto ad un tema cruciale come la salute, non è un “divide et impera” 2.0. funzionale a chi gestisce e amministra il potere?
I media hanno fatto una confusione enorme, e hanno anche molto enfatizzato. Soprattutto si è smesso di parlare di qualunque altra cosa. Il che già di per sé è assai grave. Ma noi dovremmo essere in grado di leggere i numeri e farci un’idea nostra, equilibrata, e comunque saper decodificare la comunicazione che ci arriva prendendo il buono e giusto ma lasciando andare i toni inadeguati. Mi pare che non si sia stati in gradi di farlo. Ci siamo comportati, mediamente, come dei preadolescenti, o incauti o spaventati. Io però registro un dato tutto mio, dunque non scientifico, ma per me molto interessante: io di negazionisti nel mondo che frequento non ne ho trovato mai neppure uno. Personalmente non conosco un solo negazionista. Mentre ho osservato parecchie persone iperspaventate. Sarà un caso… chissà.
Ennesimo governo tecnico in Italia. Che ne pensi?
Questa fase dimostra (se ce ne fosse stato bisogno) che aver smesso di studiare, approfondire, lavorare alla comunità, e prima ancora sugli individui, genera solo assenza di pensiero e sbandamento culturale. La politica è solo la cartina di tornasole di una società. Siamo diventati persone poco ambiziose, che abdicano al pensiero e alla riflessione, che non si pongono domande sui modelli di vita e sviluppo, e la politica ne è la conseguenza e l’evidenza. Aver sostenuto con fiera convinzione di essere “post-ideologici” è solo una grossa corbelleria politica. E il problema è che chi l’ha detta è stato solo sincero, ma vale per tutte le forze politiche o quasi. Non avere un apparato ideale significa non saper fare politica.
Ha vinto il pensiero tecnocratico, quello che dice di risolvere i problemi efficacemente e efficientemente, uno per uno. Ma così si finisce nel burrone culturale e sociale.
Come stanno “I Mediterranei”? Siete pronti a ripartire?
Mediterranea non si sarebbe dovuta fermare, secondo me. Tra luglio e settembre avrebbe potuto navigare. E tuttavia, siamo una comunità, dunque il parere di uno conta ma va messo in relazione al parere della maggioranza. E dunque ho accettato l’idea che non partissimo. Tra poco però si salpa, o almeno ci si prova. Vedremo come. Aprile non è lontano.
Se si, puoi darci qualche anticipazione?
La rotta del 2020 era già fatta, e quella seguiremo. Per tre anni abbiamo l’obiettivo di riprendere a fare ricerca, dialogo, incontro, cultura nel e sul Mediterraneo, accanto a istituti di ricerca scientifica, associazioni culturali, individui, tutti parte attiva del Mediterraneo. Il laboratorio galleggiante dopo sette anni continua a navigare, diventa sempre più laboratorio sociale. Tutto questo mi onora molto.
Che sensazioni hai alle reazioni e ai commenti dei tuoi lettori su ” I momenti buoni?
Sono davvero colpito. Pensavo che avrei spiazzato irrimediabilmente tutti. E invece, nonostante lo spaiamento, tantissimi mi scrivono dicendomi che hanno divorato il romanzo, lo hanno sentito loro, si sono sentiti dentro la storia… Una soddisfazione enorme, davvero grande.
Partiamo dalla fine del libro: hai sentito il bisogno di dare delle spiegazioni al lettore sul taglio particolare o ” diverso ” del tuo romanzo?
Sì. Le regole della scrittura, quelle che un bravo professionista dovrebbe seguire, implicano il fatto che il tuo lettore non lo devi spiazzare. Se vuole “A” devi dargli “A”, non “B”. Ma questo è marketing, questa è ortodossia alla cultura editoriale commerciale. Il mio percorso di ricerca, dunque il mio mondo artistico, seguono il principio opposto (dunque non diventerò mai ricco, pazienza…): io cerco le parole che non ho ancora usato, in una storia che non ho ancora immaginato, per dire qualcosa che non ho mai ancora detto. Dunque ogni libro è la ricerca di esprimere l’invisibile agli occhi, l’indefinibile, cioè che non c’è un nome preciso per chiamare. La vita, quella che ci interessa, sta in quella invisibilità. Per raccontare e spiegare ciò che è misurabile serve la scienza; per affrontare ciò che non è verificabile o misurabile serve la fede; per affrontare ciò che sta in mezzo serve l’arte. E “in mezzo” c’è, appunto, tutto ciò che costituisce le nostre vite.
A proposito di questo, tra “diverso” e “normale”, cos’è per te la “normalità”. Si intreccia con il concetto di “limite”?
Non so a cosa ti riferisci. Per me è normale un mucchio di roba che il mondo sembra di ritenere strana. Io vivo in modo piuttosto diverso da quel che vedo nelle città, nei film, in ogni manifestazione della nostra società nordoccidentale. Sto moltissimo tempo, diciamo il 90% del mio tempo, lontano dalla comunità, in una sorta di eremitaggio fertile, voluto, creativo. Faccio tutto da me, tutto quel che posso, dunque non compro che lo stretto indispensabile. Mi muovo quando tutti sono fermi, sto fermo quando la gente si muove. Insomma, per me la normalità è ciò che scelgo pensandoci bene, analizzando, formulando delle idee, cercando di assumermene il rischio. Ma credendoci molto.
L’idea di chiamare ogni personaggio con un soprannome anzichè con un nome reale o nome/cognome, è un’esigenza letteraria o un omaggio a qualche ispirazione?
Non volevo rischiare che descrivendo compiutamente quel personaggio, nome e cognome, in quella specifica città, la mia venisse presa come una storia di quel tipo, in quell’ambito. La storia che ho scritto con “I Momenti Buoni” è invece, purtroppo, una storia emblematica. Vale credo per tutti noi.
Il personaggio principale si chiama ” Il Tranquillo ” che poi scopriremo tanto tranquillo non essere. Da dove esce fuori?
Dalla sua doppia modalità di vita, di percezione, di comunicazione. Visto da fuori sembra un ragazzino solitario, silenzioso, che non smania, non fa casino, non chiede niente, se la cava da solo, non piange, non ride, vive nel suo mondo. Solo che questo è solo ciò che si vede da fuori. La sua realtà interiore è tutt’altra…
Questo spaccato di vita adolescenziale apre una lente di ingrandimento su un mondo che oggi è quantomai critico, per il momento storico e per il cambiamento delle relazioni con l’utilizzo delle nuove tecnologie. Cos’è che ti “batteva sulle tempie” più di ogni altra cosa?
La cronaca. Le storie di violenza, di prevaricazione, di degrado. Cercavo di scacciarle, di farle rimanere sotto, di non esserne travolto. Ho opposto a questa realtà tutto quel che ho potuto. Poi il “mondo per come è” è venuto fuori. In tutta la sua evidenza. Non ho potuto evitare di scriverne. In un autore ci sono progetti, idee, ma c’è anche tanta osservazione, registrazione di ciò che vede e sente. Un autore governa la sua poetica fin che può. Poi ci sono temi, personaggi, che emergono, si impongono, perché la mente e il cuore, l’anima, di quell’autore se ne sono intrisi, ne sono diventati pieni. E a un certo punto tutto esce. Quando un lettore dice di “seguire” un autore, credo si riferisca a queste emersioni, a ciò che diventa impellente. Seguire ciò che diventa impellente per un autore significa appassionarsi al suo spirito.
C’è secondo te un modo per far capire ai ragazzi che è fondamentale parlare con uno come ” Il Vecchio ” e passare più tempo offline e acquisire esperienze ” reali “, invece di stare ore e ore tra socials e chat?
Io non credo che il problema siano i mezzi di comunicazione. Io credo che ogni cosa, ogni scoperta, ogni avanzamento tecnologico siano potenzialmente buoni. Dipende che strumenti critici abbiamo per decodificarli, per usarli, per non scambiarli per dei “fini” restando al fatto che possiamo utilizzarli come mezzi. Un ragazzo non ha necessariamente questa categoria critica, non è del tutto formato per capire. Ha bisogno di maestri che lo aiutino nella decodifica, nelle domande, nell’osservazione della vita. Serve empatia, spirito di analisi, senso critico, serve avere idee, metterle in discussione… così si cresce. Il punto è che se sbagli maestro sei nei guai. E oggi i maestri tradizionali non sono più (ahimè) i genitori, gli insegnanti, il prete, lo zio…
Capitolo droghe: è meglio conoscerle ed essere informati, oppure evitare totalmente quel mondo per lasciare i più giovani lontani da certe esperienze?
Ripeto, nessuna cosa è solo buona o solo cattiva. Dipende chi la frequenta. E i giovani sono, per ovvie ragioni, più fragili. Non è buono fare un’esperienza così forte e scuotente quando non si è in equilibrio. In generale, chi sostituisce la propria formazione, la propria ricerca dell’armonia con qualunque sostanza capace di fargli fare chimicamente ciò che sarebbe alla sua portata psichica ed energetica, fa un errore. Il che non vuol dire che non si debbano fare esperienze. Ma dipende chi, quando, come.
Il rapporto tra adolescenti e sesso è una tematica molto forte in questo romanzo. E’ stato per te anche un tornare indietro sulle tue esperienze da ragazzo?
Naturalmente sì. Il sesso, vissuto da un ragazzino del 1980, era tutta un’altra cosa da oggi. Ma non solo per questioni specifiche, o mediatiche, ma perché noi avevamo ricevuto una diversa educazione sentimentale. Il modo in cui tocchi una donna è la diretta conseguenza del modo in cui tu concepisci una donna. Il sesso consegue alla visione del mondo e degli altri, oltre che di se stessi. Da come amiamo si capisce molto bene chi siamo.
Scopriamo una tua narrazione sul calcio che ti rende davvero più popolare e culturalmente più alla portata di tutti. E’ stata ed è una tua passione?
Io amo molto lo sport, l’ho praticato. Ho giocato molti anni a pallanuoto, prima avevo fatto judo. Gli sport di squadra sono un’occasione enorme per capire se stessi e gli altri. Imparare a vivere. Ma lo sport che amo di più è certamente il calcio. Sono un acceso tifoso, seguo tutte le partite, consulto statistiche, e soprattutto sono un grande appassionata delle storie umane dello sport, segnatamente del calcio ma non solo.
In tanti, come “Il Tranquillo”, per i più svariati motivi, siamo sempre alla ricerca di un ” Padre ”?
La vita, nella sua meccanica riproduttiva, è fatta benissimo, è un sistema perfetto, nel mondo animale. Ma l’uomo è un animale strano, diverso da qualunque altro. È un non-più-solo-animale. Dunque quel sistema, per l’uomo, si rivela non più così perfetto. Io, in generale, credo molto poco nelle relazioni di sangue, nei clan, nelle famiglie. Non funzionano altro che raramente e spesso costano una fatica immensa per tutta la vita.
Questo romanzo insegna il valore della lealtà e del rispetto dell’amicizia. Quali altri valori vorresti trasmettere a chi legge questo libro?
Il coraggio, di cambiare, di scegliere; la forza di saper fuggire, nella vita in certe circostanze bisogna fuggire, subito, senza voltarsi indietro, per poi ricominciare altrove. La curiosità delle domande, dei quesiti senza risposta, non perché quelle risposte cambino tutto, ma perché farsi quelle domande cambia tutto! L’importanza di cercare e trovare maestri, cioè persone capaci di darci tantissimo di ciò di cui abbiamo impellente bisogno.
Il finale del libro: la realizzazione personale si può dire tale raggiungendo fama e successo o trovando la propria, reale, dimensione?
I riconoscimenti, le conseguenze dei talenti, non sono che “conseguenze” appunto… L’unica cosa che ha impatto reale e vero sulle nostre vite è l’equilibrio tra le varie forze che agitano il nostro cuore, l’armonia tra quel cuore, il corpo che lo contiene e il mondo. E questa rotta di ricerca si copre analizzandosi, vivendo, testandosi, sbagliando. È una via obbligata che con fama, successo, soldi, etc non ha niente a che vedere.
Come sempre, ti ringraziamo per il tempo che ci concedi e prima o poi ti verremo a fare un saluto su ” Mediterranea “.
Vi aspetto. ciao e grazie a voi