Si comincia a parlare sempre più di decrescita, o meglio dei temi che la riguardano, spesso inconsapevolmente. Sì, perché il solo proferire la parole decrescita incute terrore, mette tristezza, ci fa cadere in depressione, perciò preferiamo evitarla e difficilmente associamo a questo termine connotati positivi, quanto meno di miglioramento.
Si può parlare di critica al consumismo, di risparmio energetico, di efficienza energetica, di abbattimento degli sprechi, di orti urbani, di riciclaggio e di rifiuti zero, di ritorno alla campagna, di agricoltura biologica, di cibi salutari e a chilometro zero, di relazioni umane, di cohousing, di recupero della tradizione e del saper fare, di artigianato e di ritorno al piccolo e al locale, ma davvero difficilmente ci rendiamo conto che tutto questo fa parte di un cambiamento epocale che stravolgerà il nostro modo di vedere la vita.
Ebbene allora, se in fondo in fondo i contenuti sono questi, perché attaccarsi tanto alle parole ? perché non trovare un altro termine, magari più allegro e ottimista per descrivere questo fenomeno ? Forse qualcosa del tipo sviluppo sostenibile o equo-solidale potrebbe fare all’occasione? O magari usare termini come bio o green che vanno tanto in voga adesso ?
Indubbiamente non c’è alcun bisogno di attaccarsi alle parole, tanto meno ai significanti, qualunque siano. Ad ogni modo, credo che ad oggi l’uso del termine decrescita sia fondamentale, per non osar dire indispensabile; ed occorre inoltre aggiungere una precisazione. Il Movimento per la Decrescita Felice ha aggiunto allo sventurato termine decrescita l’aggettivo felice, e a una prima e rapida valutazione, a cui siamo tutti abituati oggi, pare che il “felice” sia stato aggiunto intelligentemente, con una gran mossa di prestigioso marketing, proprio per risollevare la sciagurata “decrescita”, tanto che viene da chiedersi se effettivamente non si tratti di una figura retorica tipo ossimoro, che abbina due termini in contrapposizione tra loro. Come può la decrescita essere felice, viene da chiedersi immediatamente.
Ecco allora l’importanza cruciale dell’uso di questa espressione: non semplicemente decrescita, ma decrescita felice, ed i motivi sono sostanzialmente due.
Il primo motivo è proprio intrinseco al termine stesso: decrescita. Il cambiamento epocale che abbiamo davanti richiede una profonda rivoluzione culturale, uno stravolgimento del nostro modo di pensare, della nostra visione del mondo, dei valori in cui crediamo fermamente. Prendere confidenza col termine decrescita, fino ad arrivare a farci amicizia e a farlo proprio, significa comprendere profondamente le ragioni di questo cambiamento, significa farle proprie, significa manifestare la consapevolezza interiore necessaria a realizzare un mondo realmente sostenibile, sotto tutti i punti di vista, che si tratti di economia, di ambiente o di società. Comprendere la decrescita è il primo passo per liberarsi dalla folle rincorsa alla crescita eterna, al progresso senza limiti che degrada l’ambiente e l’uomo, alla crudele logica del profitto e della mercificazione della vita. La semplice parola decrescita ci aiuta a decolonizzare il nostro immaginario, perché ci costringe semanticamente a ragionare in modo diverso, in un modo in cui non siamo mai stati abituati, a mettere in discussione tutto ciò su cui abbiamo creduto finora, per poter riuscire a costruire una nuova cultura: una cultura della Via di Mezzo, una cultura del buon senso, una cultura del sostegno alla vita. Se volessimo intraprendere una nuova strada, in parte lo stiamo già facendo soprattutto perché spinti da forze esterne, lo potremmo certamente fare senza aggrapparci alla parola decrescita, ma credo che facendo così rischieremmo di non compiere quel cambiamento culturale che è strettamente necessario, ancor più dell’effettivo cambiamento nei comportamenti e nelle azioni. La decrescita, questa parola così triste e così scomoda per la nostra mentalità, ha una forza dilaniante proprio perché mina le basi culturali che hanno creato il degrado ambientale e umano che stiamo attraversando negli ultimi decenni di enorme sviluppo economico. Costruire una nuova società senza prendere in considerazione questo, significa creare un cambiamento illusorio che potrebbe portare a peggiorare le cose anziché a migliorarle.
Il secondo motivo riguarda proprio l’aggettivo felice, che non è, come è facile pensare, una mera decorazione che ha lo scopo di rendere meno triste la parola decrescita. Tutt’altro, è un aggettivo essenziale alla corretta interpretazione del concetto racchiuso nell’espressione decrescita felice. La decrescita infatti non solo è un fenomeno che accade in natura spontaneamente, ma come tutte le cose di questo mondo può avere delle accezioni con connotati più positivi e altre con connotati più negativi. La decrescita può essere, di fatto, sia felice che infelice e questo è bene sottolinearlo con vigore. In termini economici una decrescita infelice può essere considerata una recessione che provoca sofferenza e disagi per un gran numero di persone, come ad esempio, la nostra crisi attuale – quella di un sistema che pur volendo crescere, di fatto decresce – ma la decrescita potrebbe essere anche felice se ciò che decresce induce benefici e benessere per tutti: una decrescita saggia perché intenzionale. Perciò parlare di decrescita non basta, occorre anche specificare che si tratta di una decrescita felice, proprio perché cambiando il nostro modo di vedere il mondo, non più offuscato dalla crescita a tutti i costi, la società ne risulterà migliorata nel suo insieme.
Perciò, non ci spaventiamo davanti al termine decrescita, non ci rattristiamo nemmeno. Prendiamoci confidenza, proviamo a farci amicizia e scopriremo che esiste un nuovo mondo da creare che ci sta aspettando, e che è possibile crederci già adesso.