Nel nostro blog, abbiamo spesso parlato del consumo di acqua e della necessità di evitare ogni forma di spreco. Abbiamo visto, ad esempio, come in casa, acqua piovana, acqua di cottura della pasta possano essere riutilizzate proprio per evitare questi sprechi.
Una cosa a cui forse facciamo meno attenzione è invece l’acqua sprecata nella produzione di cibo.
L’impronta idrica è un indicatore di consumo di acqua che riguarda sia il consumo diretto, che quello indiretto. L’impronta idrica di un individuo, di una comunità o di business è definita come il volume totale di acqua dolce utilizzata per produrre i beni e i servizi consumati dal singolo, dalla collettività, o da un business.
A tal proposito, il Water Footprint Network, una fondazione olandese senza scopo di lucro, ha stilato un elenco di alimenti che richiedono un consumo maggiore o inferiore di acqua, per la loro produzione.
Questo perché, questioni come la scarsità d’acqua e l’inquinamento, possono essere meglio comprese e affrontate conoscendo tali meccanismi. “I problemi idrici sono spesso strettamente legati alla struttura dell’economia globale – si legge sul sito della fondazione – Molti paesi hanno esternalizzato significativamente la loro impronta idrica, importando beni ad alta intensità di acqua provenienti da altrove. Questo mette pressione sulle risorse idriche nelle regioni esportatrici, dove troppo spesso i meccanismi di governance dell’acqua e della sua conservazione sono carenti. Non solo i governi, ma anche i consumatori, le imprese e la società civile possono svolgere un ruolo nel raggiungimento di una migliore gestione delle risorse idriche”.
Per acquisire maggiore consapevolezza, in qualità di consumatori, vediamo insieme quali sono gli alimenti che secondo il Water Footprint Network consumano un volume maggiore di acqua.
Al primo posto, e non dovremmo esserne stupiti, si trova la produzione di carne. L’impronta idrica maggiore è quella data delle carni di bovini: 15.400 litri per chilogrammo, seguita poi dalla carne di pecora 10400 litri, di suino 6000 litri, e per ultimo di pollo 4300 litri.
Questo dovrebbe portarci a riflettere sul reale impatto che gli allevamenti intensivi hanno sull’ambiente.
Al secondo posto, e questo forse ci stupisce un po’ di più, troviamo il tè verde: la sua impronta idrica è di 8.860 litri d’acqua per produrre 1 chilo di prodotto. E per ogni bustina che contiene circa 3 grammi di foglioline, vengono consumati circa 30 litri d’acqua.
Per tonnellata di prodotto, i prodotti di origine animale hanno in genere una impronta idrica maggiore di prodotti vegetali. Secondo i dati riportati dalla fondazione, infatti, l’impronta idrica di un burger di soia di 150 grammi prodotto in Olanda è di circa 160 litri. Un hamburger di manzo dallo stesso paese costa circa 1000 litri.
Anche il riso è un alimento sprecone di acqua: per produrne un chilogrammo ne necessitano 2.500 litri.
Segue lo zucchero di canna, che ha un’impronta idrica di 1.800 litri; il pane, 1.600 e l’orzo, 1.420 litri di acqua per chilogrammo prodotto.
A gran sorpresa, anche le mele richiedono parecchia acqua per essere prodotte: per una sola ne occorrono ben 125 litri; 1140 litri d’acqua a confezione per quanto riguarda il succo di mela.
Ancora, troviamo il latte: per produrne 1 solo litro servono mille litri di acqua. Infine, per il vino, prodotto tipico italiano, l’impronta idrica è di 610 litri per kg: significa che un solo bicchiere costa 110 litri d’acqua.
E per gli amanti del caffè: una tazza richiede ben 140 litri di acqua. Tutta insieme, la popolazione mondiale richiede circa 110 miliardi di metri cubi di acqua all’anno, per bere il caffè. Non poco.
L’intento della Water FootPrint è quello di sensibilizzare aziende e consumatori sul grande spreco di acqua nel mondo. La prossima volta, quando facciamo un acquisto, ripensiamo a questo elenco. L’acqua potabile è un vero e proprio oro blu ed è giunto il momento di chiedere al settore alimentare di contenere consumi e sprechi.
(Foto in evidenza: impressivemagazine; foto interna: sustainabilityreport)