L’uso sistematico dei concimi chimici ha alterato gli ecosistemi sia relativamente alla fauna che alla flora; le conseguenze più rilevanti sono state: la riduzione della variabilità genetica dei sistemi viventi, i processi di eutrofizzazione delle acque dolci e di quelle marine, l’alterazione chimico-fisica e biologica dei suoli.
Studi sulla diffusione, la trasformazione, la persistenza e l’accumulazione nei tessuti di piante e animali dei prodotti chimici impiegati nei processi agricoli, mettono in evidenza aspetti più complessi delle interferenze indotte da tali prodotti sulle strutture e sulle funzioni degli ecosistemi.
I concimi favoriscono la crescita delle piante fornendo nutritivi, ma il rovescio della medaglia è che quelli chimici possono rappresentare una minaccia ambientale, se utilizzati in maniera e quantità improprie. Si va dalla più nota contaminazione da nitrati, fino alle minacce rappresentate da cromo e ‘terre rare’, con criticità che riguardano non solo l’acqua ma anche il terreno, giocando un ruolo anche nel fenomeno della desertificazione.
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I nitrati “dal suolo passano per trasferimento alle falde acquifere – spiega all’Adnkronos Riccardo Petrini, docente del dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa – Il suolo interagisce con le acque circolanti e rilascia in maniera variabile sia elementi nutrienti sia tossici”. In funzione delle caratteristiche dell’ambiente e della stagionalità “i nitrati si trasformano in nitriti, che sono tossici – aggiunge – a contatto con l’acqua la contaminazione si disperde, arriva nei corpi d’acqua superficiali e nell’ecosistema”. Sulla questione della contaminazione da nitrati, però, la questione è aperta.
La Coldiretti sta seguendo il progetto di ricerca dell’Ispra sulla mappatura isotopica dei nitrati “perché riteniamo che questa mappatura rilevi come la contaminazione da nitrati possa non essere unicamente riconducibile al settore zootecnico, ma possa essere collegata ai reflui civili non correttamente smaltiti e quindi alle problematiche relative agli impianti di depurazione”, dichiara Stefano Masini, responsabile Ambiente della Coldiretti, ricordando che “per risolvere il problema nitrati, che riguarda il 13% delle nostre acque sotterranee, bisogna arrivare alla corretta individuazione delle cause di inquinamento”.
Ai più noti nitrati, però, si aggiungono problemi che riguardano i concimi ricchi di boro, potenzialmente tossico, e quelli contenenti un gruppo di elementi chimichi che, nell’insieme, vengono chiamati ‘terre rare’, “che sono tossici – avverte Petrini, dell’Università di Pisa – si tratta di elementi che vanno dal lantanio fino al lutezio e vengono dati in ambito agricolo, aggiungendosi alle precedenti sorgenti di contaminazione”.
Senza dimenticare “la contaminazione da prodotti derivanti da attività conciaria, ricchi di azoto, che favoriscono la crescita delle piante ma contengono anche cromo – aggiunge l’esperto in Scienze della terra – Si è sempre ritenuto che gli effetti negativi del cromo venissero neutralizzati dal terreno, ma abbiamo osservato che in certe aree e in alcune condizioni il terreno reagisce trasformando il nutriente (cromo trivalente) in elemento tossico e mutageno (cromo esavalente), quindi non è detto che questi fertilizzanti siano del tutto sicuri”.
In questo il metodo isotopico aiuta a ‘investigare’ le variabili di uno stesso elemento chimico che possono generare fenomeni diversi. Come nel caso del cromo. “Questi metodi isotopici – spiega Petrini – integrati tra loro possono dare informazioni utili sulla sorgente della contaminazione dell’ecosistema, si ‘scavalca’ così la semplice osservazione entrando nel metodo e cercando di capire come mai si verificano determinati fenomeni e quale sarà il destino di questi elementi”. Un destino di non facile interpretazione perché “si tratta di equilibri complessi e ogni area richiede uno studio specifico che tenga conto delle caratteristiche geologiche e idrogeologiche”.
Insomma, una ricetta che valga per tutti i terreni a rischio o contaminati non esiste, anche se Petrini ammette che “serve un intervento deciso e la conoscenza del fenomeno per intervenire sui terreni contaminati e, laddove fosse troppo tardi per intervenire, riuscire a confinare il problema e imparare a conviverci. Indietro non si torna, ma dobbiamo educarci e imparare a limitare i danni. Per questo la ricerca scientifica deve integrarsi con la vita quotidiana e anche con il mondo della produzione”.
Coldiretti è più rassicurante: “di per sé i concimi chimici non provocano inquinamento perché contengono forme addizionate di elementi già presenti, in forma naturale, nel suolo che vengono assorbiti dalla colture in fase di accrescimento – spiega Stefano Masini – I problemi nascono in relazione alle modalità di impiego, nella ripetizione dell’uso e nell’agricoltura intensiva”. Cioè, con le pratiche agricole intensive che puntano a competere sui mercati internazionali riducendo i costi e facendo ampio ricorso alla chimica. “Il nostro modello di agricoltura, invece, punta a valorizzare produzioni territoriali e pratiche sostenibili”, aggiunge il responsabile Ambiente.
E per pratiche sostenibili, oltre ai cicli rotazionali, si intende anche il ricorso a fertilizzanti naturali e organici, dal recupero della funzione concimante dei reflui organici rivalorizzando il ruolo della filiera zootecnica, alla produzione di compost dai rifiuti organici urbani, “calcolando che un terzo dei rifiuti che produciamo in casa è organico – aggiunge Masini – se i Comuni si dotassero di un sistema adeguato di raccolta e selezione potrebbero quindi produrre un ottimo compost e risolvere allo stesso tempo l’emergenza rifiuti”.