Il 17 giugno scorso, il Giappone ha presentato un rapporto annuale sulle fonti energetiche. Dal rapporto, si evince come la dipendenza del Paese dai combustibili fossili abbia raggiunto l’88% nel 2013, superando il record dell’80%, registrato durante la crisi di risorse energetiche degli anni ’70.
Appaiono ancora chiare nella nostra mente le immagini di disperazione e distruzione, risalenti al disastro di Fukushima. Ancora più chiare sono le conseguenze che l’incidente, avvenuto nell’impianto nucleare nel 2011, ha avuto non solo per il Giappone, ma anche per il mondo intero.
Malattie, abbandono, radiazioni nucleari che hanno toccato e contaminato non solo le coste del Giappone, ma anche quelle degli Stati Uniti. Si pensa che per ripulire il disastro, potrebbero essere necessari fino a 40 anni.
Da allora, le cose per il Giappone sono cambiate, eppure appare immutato il desiderio da parte della nazione di affidarsi ancora al nucleare.
Un’ulteriore dimostrazione di questa volontà si evince dall’ultimo rapporto presentato dal governo e inerente le fonti alla base dell’approvvigionamento energetico del paese.
Nel documento, si apprende come la dipendenza del Giappone da fonti fossili sia salita all’88% nel 2013, rispetto al 62% che si registrava prima del disastro nucleare del 2011.
Prima dell’incidente, si legge sulle agenzie di stampa, circa il 30% dell’elettricità del paese era prodotta da impianti nucleari.
Lo studio dedicato all’energia è stato prodotto dal governo, anche per sottolineare l’importanza (dal loro punto di vista) della produzione di energia nucleare, citando i crescenti costi del carburante per la produzione di energia termica e l’aumento delle emissioni di carbonio.
La spesa per la produzione di combustibili come gas naturale liquefatto è praticamente triplicata a 27 trilioni di yen (264 miliardi di dollari) nel 2013 dai 10 trilioni di yen del 2010.
I reattori nucleari in Giappone, lo ricordiamo, sono spenti dall’incidente alla centrale di Fukushima, provocato dal terremoto del marzo del 2011. Secondo i sondaggi più recenti la maggioranza dei giapponesi è favorevole allo stop: il 51,9% si oppone alla loro riattivazione.
Eppure, secondo quanto si legge su Il Sole 24 Ore, sembra che il Paese sia fortemente intenzionato a tornare all’energia nucleare, avendo approvato nell’aprile scorso il “Basic Energy Plan” che prevede appunto il riavvio di alcuni dei 48 impianti nucleari del Paese.
Il piano energetico presentato non indica chiaramente una percentuale da destinare al nucleare nel prossimo futuro, in quanto ancora non è chiaro il numero degli impianti che potranno essere messi nuovamente in funzione.
Prima di Fukushima, ricorda il giornale, il piano energetico nazionale prevedeva di portare dal 30 al 50% entro il 2030 la quota di elettricità generata dalle centrali atomiche. Per le energie rinnovabili, si promettono obiettivi di gran lunga superiori a quelli indicati in precedenza (nel 2010 era stato proposto un target del 20% del totale entro il 2030).
Dopo tutto ciò che è successo, la nazione che ha pagato maggiormente le conseguenze del nucleare si impone ancora obiettivi ambiziosi per ciò che riguarda questa fonte di energia, invece di concentrarsi maggiormente su altre soluzioni, più sicure per l’ambiente e per la salute delle persone. Nonostante la maggioranza dei cittadini si sia già detta contraria.
(Foto: Abode of Chaos)