L’Italia ha un problema di lunghissimo corso: bonificare i siti inquinati. Sono tanti e provocano danni irreparabili. Alberi e piante possono aiutare allo scopo? Sì, vediamo come.
Bonificare aree inquinate, in Italia, sembrerebbe essere una priorità. Anche se non vi si dedica mai abbastanza attenzione. Stando allo studio Sentieri (Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio inquinamento), siamo ancora in piena emergenza.
I dati (lo studio è stato reso pubblico nell’aprile 2016) sono sconfortanti. Sono ancora 44 le aree inquinate oltre i limiti di legge in Italia. Aree dove l’incidenza dei tumori (soprattutto alla tiroide e alla mammella) è aumentata anche del 90% in 10 anni. La mortalità nei siti contaminati è risultata del 15% più elevata. Sono 6 milioni gli italiani esposti al rischio.
I principali ‘nemici’ della nostra salute? Li conosciamo bene: diossina, amianto, petrolio, piombo, Pcb, mercurio. Come si può far fronte a questa vera e propria “emergenza”, che va avanti da almeno 20 anni? Un aiuto arriva dalle piante.
Fitorimedio: quando a bonificare sono le piante
Si definisce fitorimedio l’insieme di tecniche che prevede l’utilizzo delle piante per rimuovere o degradare le sostanze inquinanti presenti nel suolo e nelle acque. Si tratta di una possibilità che negli ultimi anni ha cominciato a prendere piede anche in Italia. Ma che negli USA utilizzano con successo già dal 2001.
Alberi e piante particolari, che hanno la capacità di bonificare i terreni, vengono spesso usate in combinazione con le tecnologie tradizionali di depurazione. E sono spesso efficaci, economiche, oltre che a basso impatto ambientale.
Bonifiche e biomasse: le prime sperimentazioni
In Italia da qualche anno si cerca di creare sistemi misti: la coltivazione di piante capaci di depurare i terreni è indirizzata anche alla produzione di energia con impianti a biomasse.
Una sperimentazione nata in diverse regioni: Veneto, Trentino, Marche, Lazio. In particolare a Porto Marghera sono stati raggiunti risultati interessanti.
A raccontare le prime sperimentazioni italiane, Paolo Sconocchia, direttore della sezione energia dell’Arpa Terni.
“Le piante utilizzate per la decontaminazione sono un grande passo in avanti per l’Italia. In questi anni, comunità scientifiche e ricerche universitarie hanno sperimentato molto nel settore delle fitotecnologie. I ricercatori hanno, in particolare, selezionato piante e alberi da coltivare per ottenere la giusta interazione tra specie botaniche e microrganismi dei terreni“.
Sconocchia fa l’esempio delle felci, utilizzate nei terreni da bonificare per la loro capacità di accumulo dei metalli. La cosiddetta canna di fiume, inoltre, è impiegata per la depurazione delle acque e utilizzata in un secondo momento come biocombustibile.
Tra gli esperimenti più interessanti, il ricorso ai pioppi. In Umbria è nato il progetto Remida (Remediation energy production and soil management), in cui la piantumazione dei pioppi si è rivelata utile per la gestione dei siti inquinati. “Le piantagioni di pioppo”, spiega Sconocchia, “sono ideali perché crescono in fretta e hanno un costo molto contenuto“.
Bonificare con le piante: altri esempi
Oltre ai progetti segnalati da Sconocchia, in questi anni vi abbiamo segnalato molti tentativi simili.
Il Miscanto per esempio: pianta della famiglia delle graminacee, originaria dell’Asia, che ha assorbito le sostanze inquinanti in molte aree della penisola. La pianta è inoltre un ottimo esempio di biomassa energetica.
Ancora, ricordiamo il coraggioso esempio di Vincenzo Fornaro, che da molti anni coltiva la canapa sui suoi terreni, inquinati da diossina e metalli pesanti, a causa dell’impianto Ilva di Taranto.
La Vetiver infine si è dimostrata molto efficace nella prevenzione del dissesto idrogeologico e come agente per bonificare il terreno dagli inquinanti.