In questi giorni, l’Espresso ha pubblicato un’inchiesta molto interessante sulla diffusione e il traffico del virus dell’aviaria. Nell’inchiesta appaiono, seppur in maniera confusa, gli intrecci e le presunte manipolazioni volte a favorire la vendita di vaccini per la cura di una malattia che tanto diffusa, realmente, non era. Un business di epidemie che amplifica il pericolo di diffusione e i rischi per l’uomo, spingendo le autorità sanitarie ad adottare provvedimenti d’urgenza. Una presunta strategia commerciale che ci ha lasciato come ricordo, in giacenza, 50 milioni di euro di farmaci mai utilizzati.
Ma procediamo con ordine.
L’indagine inerente al traffico internazionale di virus, scambiati tra ricercatori e dirigenti di industrie farmaceutiche, viene aperta per la prima volta dalle autorità americane, per poi passare alla procura di Roma.
Perché l’Italia è così centrale nella storia?
Perché al centro del groviglio di interessi c’è la testimonianza cruciale di un manager italiano della Merial, la branca veterinaria del colosso Sanofi.
Il traffico di virus viene scoperto per la prima volta dalla Homeland Security, il dipartimento creato dopo l’attacco alle Torri Gemelle per stroncare nuovi episodi terroristici ai danni degli Stati Uniti. Nel loro mirino, l’importazione negli States di virus dall’Arabia Saudita, necessari per elaborare farmaci, poi riesportati nel Paese arabo.
Il manager italiano in questione (Paolo Candoli) racconta ai detective come, nell’aprile del 1999 si fa spedire illegalmente a casa, in Italia, un ceppo di aviaria tramite un corriere Dhl. Virus congelato in cubetti di ghiaccio che viaggia per posta. L’uomo, si legge sull’inchiesta de l’Espresso, patteggia la sa immunità, in cambio delle rivelazioni sul contrabbando batteriologico.
Terminati i processi negli Stati Uniti, nel 2005, l’Homeland Security decide di trasmettere i verbali di Candoli ai carabinieri del Nas. E inizia l’incubo.
I carabinieri sottolineano che l’arrivo del virus a casa del manager italiano coincide con l’insorgenza, nel Nord Italia, dell’epidemia da virus H7N3 di influenza aviaria.
All’epoca l’Arma aveva già ipotizzato l’esistenza di un’organizzazione criminale dedita al traffico di virus e alla produzione clandestina di vaccini da somministrare illegalmente ai polli degli stabilimenti italiani.
Nel nostro Paese inizia a profilarsi il terrore dell’epidemia.
Un’altra figura che, per l’Espresso, appare essere importante in questo scenario, sembra essere quella di Ilaria Capua, virologa di fama internazionale, attualmente deputato di Scelta Civica e vice presidente della Commissione Cultura alla Camera. La Capua, assieme ad altri suoi colleghi del Dipartimento di scienze biomediche comparate dell’Istituto Zooprofilattico sperimentale (Izs) delle Venezie, sarebbe attualmente iscritta nel registro degli indagati.
Secondo le ricostruzioni dei carabinieri, ancora da accertare, l’azione di Ilaria Capua e di altri funzionari della struttura veneta, avrebbe contribuito a creare un cartello fra due società, la Merial e la Fort Dodge Animal, escludendo le altre concorrenti, nella vendita di vaccini veterinari per l’influenza aviaria.
I virus sarebbero entrati in Italia, e anche in altri Paesi come la Francia, in diversi modi: per posta, ma anche in provette nascoste tra i capi di abbigliamento sistemati in valigia.
Il contrabbando, per gli uomini dell’Arma, avrebbe costituito “di fatto un serio e concreto pericolo per la salute pubblica per il mancato rispetto delle norme di biosicurezza”.
La necessità di far pervenire in maniera così rapida i ceppi patogeni, evitando la burocrazia sanitaria e le misure di sicurezza, sarebbe servito per consentire agli Istituti di ricerca di arrivare per primi a inventare e commercializzare gli antidoti.
Nel caso del virus H7N3, sulla base di un’intercettazione, gli inquirenti ritengono che il ceppo sia stato fornito da Ilaria Capua. La virologa nega di aver mai venduto ceppi virali.
Prodotto il medicinale, scatta subito la vaccinazione di emergenza e il ministero della Sanità autorizza proprio la Merial a fornire i farmaci.
Non finisce qui: la Capua e i colleghi dell’Istituto Zooprofilattico veneto scoprono un sistema che permette di individuare gli animali infetti. La cosa appare essenziale, visto che l’influenza, dai volatili, sembra essere passata all’uomo. Così, registrato il brevetto, vengono conclusi accordi internazionali.
Ma l’emergenza è davvero così estesa?
Con questa domanda, arriviamo a uno dei nodi centrali dell’inchiesta. La risposta, secondo gli inquirenti, sarebbe no. Esaminando i documenti ufficiali e le iniziative delle aziende, sembra che il problema, più che reale, sia stato mediatico. Una sorta di strategia globale, ispirata dalle multinazionali che producono farmaci.
Prima, si legge tra le righe dell’inchiesta, l’Organizzazione mondale della Sanità avrebbe raccomandato di fare scorta di un determinato farmaco, prodotto da uno dei colossi dell’ambiente farmaceutico. Anche in Italia viene consigliato questo vaccino e le vendite del prodotto aumentano del 263%. Due settimane dopo, salta fuori che un ceppo dell’influenza è resistente al farmaco ma, per fortuna, in commercio ce n’è un altro, di un’altra casa farmaceutica, in grado di distruggerlo.
I carabinieri sostengono che l’allarme sia stato alimentato nonostante di fatto non stesse accadendo nulla.
Intendiamoci, il virus H5N1 è un virus molto aggressivo, che ha fatto 369 morti e infettato 638 persone nel Medio ed Estremo Oriente, ma la convinzione è che il fenomeno “pandemia” sia stato sovrastimato, così come pure i piani messi in atto dal nostro ministero della Salute per evitare la diffusione del contagio in Italia.
Nel nostro Paese, infatti, una variante del virus, tra l’altro a bassa patogenicità, fu trovata solo nel modenese. Nonostante questo, i polli furono soppressi e si ebbe un calo drastico delle vendite, malgrado bastasse semplicemente cuocere la carne per uccidere il patogeno.
Le indagini degli inquirenti sono ancora in corso e tutte le accuse devono essere ancora confermate. Per completezza di informazione, inseriamo qui il link della smentita delle accuse di Ilaria Capua, comparso su L’Espresso il 7 aprile, in cui la virologa definisce le informazioni trasmesse da l’Espresso “false e sorprendenti” e accusando il giornale di aver “danneggiato la sua immagine e reputazione”.
(Foto: antaean)