“Dobbiamo ottenere un profitto da questo farmaco”, è stata questa la candida ammissione offerta da Martin Shkreli, quando gli hanno chiesto conto dell’assurdo e abominevole rincaro di prezzo di un medicinale importante per malati di Aids, malaria e toxoplasmosi.
Shkreli – che si è guadagnato il titolo di “uomo più cattivo d’America” – è il 32enne proprietario della Turing Pharmaceuticals, azienda che commercializza farmaci in tutto il mondo. Negli ultimi giorni, la Turing è stata nell’occhio del ciclone di stampa, politica e social network per aver aumentato da 13,50 a 750 dollari il prezzo del Daraprim, a fronte di un costo di produzione di circa 1 (un) dollaro. Il tutto in una notte.
Si tratta di un aumento del 5000%, per un farmaco che è in commercio da 62 anni e che è di fondamentale importanza soprattutto per le persone affette da toxoplasmosi, un’infezione del sangue molto pericolosa. Per i pazienti che hanno contratto questa malattia, che devono assumere almeno una pillola di Daraprim al giorno per diversi mesi o anni, si tratta di una questione di vita o di morte. La Turing aveva acquistato i diritti di commercializzazione del farmaco ad agosto e oggi se ne vedono le conseguenze disastrose: si teme soprattutto la possibilità che i medici prescrivano farmaci meno costosi, ma anche meno efficaci.
Quando il caso è scoppiato, Shkreli si è prima difeso sostenendo che gli incassi conseguenti al rincaro sarebbero stati re-investiti in ricerca scientifica, anche se gli esperti sostengono che il Daraprim va benissimo così com’è. Poi ha cominciato ad attaccare i giornalisti e i media, chiamando “stupido” chi gli chiedeva conto del rincaro o citando versi di Eminem su Twitter: un atteggiamento molto maturo, da chi lavora ogni giorno con la vita delle persone.
Visto il battage mediatico, che ha coinvolto anche candidati alla Casa Bianca come Hillary Clinton e Donald Trump, Shkreli è stato costretto a una mezza marcia indietro: dice di essersi reso conto dell’enormità del caso e ha annunciato una riduzione del prezzo (anche se ancora non è chiaro di quanto). Qualcuno, però, fa notare che la campagna anti-Turing ha portato al collasso dell’azienda in borsa. E la marcia indietro non sarebbe quindi giustificata da intenti umanitari. Sempre se ci sarà: “Sono decisamente scettico”, ha spiegato Tim Horn, uno dei responsabili del Treatment Action Group, un centro di ricerca specializzato in Hiv, tubercolosi ed epatite C. “Non credo che vedremo il ritorno a un prezzo che sia economicamente conveniente o davvero giustificato”. Il proprietario dell’azienda, in ogni caso, ha spiegato al Guardian che il calo del prezzo potrebbe portare a pesanti tagli del personale, così come la riduzione del budget investito in ricerca.
Indipendentemente da come finirà questa grottesca vicenda, l’avidità della Turing mette in luce un sistema abbastanza diffuso. Lo spiega molto bene Carolyn Johnson, giornalista scientifica del Washington Post, quando scrive che Shkreli è in realtà solo “il simbolo di tutto ciò che inquieta le persone su un settore che cerca di fare soldi vendendo cure mediche mentre promette di essere interessato unicamente al benessere di pazienti vulnerabili”. Ecco perché, il caso Daraprim diventerà una pietra miliare: “Le azioni di Shkreli sono shoccanti per una ragione molto semplice: mai come in questo caso è emersa trasparenza nel settore sanitario, e le ragioni, i prezzi e il funzionamento del sistema sono esposti in maniera evidente”.
Insomma, secondo la Johnson non è la prima volta che ciò accade. Dovremmo tutti porci una semplice domanda: fino a che punto il prezzo di un farmaco salvavita dev’essere stabilito dal profitto a tutti i costi?
(Foto: Global Panorama)